Qualcuno mi aveva anticipato che questo sarebbe stato il `disco dub` di Giuseppe Ielasi. Indubbiamente non ci sarei arrivato, senza quell`imbeccata, dacchè il concetto di dub espresso da Ielasi è assolutamente personale e ben distinto, non solo dalle storiche produzioni giamaicane, ma anche dalla varie interpretazioni successive e, a loro volta, particolari che hanno segnato questi ultimi anni di sperimentazione sonora. E` possibile trarre delle nozioni ben precise già da queste prime considerazioni, in primo luogo sulla capacità dimostrata da Ielasi nello spostare sempre in avanti le lancette del proprio orologio, capacità che da questo lavoro eponimo traspare ben nitida e quindi confermata, se non addirittura amplificata. L`idea deducibile dall`ascolto è quella di un disco studiato fin nei minimi particolari, sia in fase di progettazione sia in fase di realizzazione, con l`autore che mette sul piatto della bilancia doti di orchestratore degne di un Van Dyke Parks. Accanto a ciò è possibile intendere un`attenzione tutta nuova dedicata alle parti ritmiche, con intrecci ed incastri che in alcuni momenti fanno pensare ad Ø (ma, a differenza di Vainio, non credo che qui vengano utilizzati dei suoni sintetici). E nel tracciare le melodie, quale contraltare, v`è una leggerezza di tocco che rimanda al Brian Eno degli anni migliori. In definitiva questo è il migliore fra i suoi tre dischi solisti, o almeno considerabili tali, anche se personalmente continuo a preferire quell`imprevedibile alito di anarchia che scompigliava i capelli ad alcune storiche pagine collettive, quali il primo Fringes e il Sonoris in compagnia di Alati e Radaele, oppure al recente duo con Howard Stelzer su Brombron.
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