Nadia Comaneci, tra le atlete più importanti ed affascinanti che lo sport del `900 ricordi, conquistò rapidamente i cuori di mezzo mondo, a partire dalle lontane e storiche olimpiadi, avvenute in quel di Montreal, del 1976. Rumena di nascita e ginnasta artistica, la Comaneci era solita districarsi nei propri esercizi come una libellula; agile ed aggraziata, per certi versi, arrivò a pagare la sua notorietà presso il regime (allora imperante) di Ceaucescu, il quale non esitò ad (ab)usare della celebrata immagine che la giovane si era costruita, per meschini atti di propaganda nazional-popolare.
Approdati a questo punto, vi chiederete perchè abbia deciso di aprire la recensione narrando dei brevi accenni biografici, inerenti la vita di Nadia. Il motivo più importante (e palese) lo si scova nella scelta optata da Andrea Carella - chitarra e voce - Francesca Amati - chitarra classica e voce - e Jenny Burnazzi - violoncello - di battezzare questa giovane avventura, sui sentieri del (avant) folk moderno, ponendo come nome al trio un palese omaggio verso la grande sportiva. Ma, più importante, denominare un gruppo con un nome simile, può svelare un mood dove la tensione più estrema va a poggiarsi su stati d`animo sereni, fragili, sottili ed impalpabili come un (antico) foglio di carta giapponese....
Ed allora ecco cari signori, arrivare con un primo lavoro interamente auto-prodotto, i Comaneci, venuti alla ribalta poco tempo fa anche per merito della preziosa collaborazione con Stefano Mordini nella stesura della colonna sonora del proprio film, “Provincia Meccanica”.
I`ll Be Back Soon, una ballata la cui semplicità disarma e intenerisce anche gli animi più burrascosi, per mezzo di una line-up delicata senza eguali; la voce della Amati si staglia su melodie sfibrate da ogni inutile orpello, non prive di quel soave tocco/calore che avvicina il combo agli esordi (più intimi) di Cat Power, nel periodo introspettivo di “The Cover Records”: quando la cantautrice statunitense non era ancora caduta `preda` del successo di questi giorni e dove un artigianale spirito low-fi invadeva con spontaneità le nostalgiche ballate.
Mazzy Star, Mazzy Star e ancora Mazzy Star: Hope Sandoval e quel suo modo di acquarellare folk-song, pacato e riflessivo, si annida tra le maglie di questo `piccolo` gioiello, cotto al punto giusto da atmosfere malinconiche quanto bucoliche.
La chitarra, pochi accordi e qualche arpeggio bisbigliato, un violoncello che vibra con tonalità cupe, morbidezza che spruzza da tutti i pori; e una voce, notturna e sognatrice, diviene anche in questo caso protagonista indiscussa di Life Guard. Proseguendo, in Little Monsters, possiamo stanare il tempo per scoperchiare un contenitore di motivi country e di avviluppati pizzicati al violoncello che contribuiscono a disegnare sofisticati contrasti ritmici. Anche Our Truth sbozza il proprio ingresso in situazioni affini ma conclude l`itinerario, alzando il volume dell`intensità con un fotofinish all`insegna della chitarra elettrica.
Tradizione a tutta birra nell`allegro motiv(ett)o posto in chiusura da I Didn`t Think The Same: melodia briosa su tutti i fronti, viola spensierata e ponderate spruzzate di armonica riconducono il folk dei Comaneci alla stregua di grandi firme del passato, della stazza di Donovan e Bob Dylan.
Una primavera del folk italiano in forma smagliante!!!
|