Il percorso di rivitalizzazione intrapreso dagli Zu, nonchè le relative trasformazioni di organico della stessa band, ha dell`incredibile. Ad eccezione dei due con Eugene Chadbourne, la band non ha praticamente mai fatto un disco con la stessa formazione. Dal momento in cui hanno messo piede nell`industria musicale, il gruppo romano ha esplorato, sempre nell`ambito della sua sfera di appartenenza, una serie di soluzioni, e line-up, tale da mantenere sempre alto l`interesse su di loro, per non parlare poi della qualità dei risultati prodotti. Gli Zu hanno evitato di rinchiudersi nel cul de sac che il tipo di musica da loro sperimentato avrebbe, prima o poi, potuto fargli imboccare; e invece ancora una volta ci fanno letteralmente fessi. Questa nuova incarnazione degli Zu, col supporto dell`emergente label Xeng, prevede l`inserimento dello straordinario Fred Lonberg-Holm al cello (peraltro già presente in alcuni brani del secondo album della band, “Igneo”), letteralmente magistrale in pezzi qualitom araya is our elvis, shape shifting e the witch herbalist of the remote town. Il sound è meno irruente del solito (ma un sentore di questo cambiamento lo avemmo già col precedente “Radiale”) e il jazz-core della band è sostituito da improvvisazioni più vicine allo spirito della new thing che al do it yourself del punk. Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che viene introdotto anche un principio di voce (quella del batterista Jacopo Battaglia, in everyseagull knows, dal sapore New Wave, ma anche i campionamenti come per anatomy of a lost battle) direi che i connotati dell``uscita impedibile ci sono tutti. Che sia la migliore line-up della band ascoltata fin adesso?
A seguire il disco degli Zu, la Xeng ci propone un`altra uscita succulenta, che prevede uno split tra il duo Growing (con già alcune uscite su Kranky) e quel Mark Evan Burden conosciuto ai più per i suoi trascorsi con gli ottimi Get Hustle e Glass Candy & Shattered Theatre. 'Firmament dei Growing è un discreto tappeto elettronico, siamo ad un passo dall`ambient, che si snoda per quasi venti minuti tra costanti onde sonore e sottili riverberi. Mark Evan Burden si supera invece con un brano di stampo avantgarde che tra improvvisi suoni percussivi e incursioni elettroniche, presenta una prova al piano che richiama alla mente la profondità musicale di John Cage e la liricità di Frederic Rzewski. Una composizione da lasciare senza fiato l`ascoltare, per equilibrio, tecnica e cuore.
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