Dopo i CD-R che sono indistinguibili dai CD prodotti industrialmente, ecco i CD confezionati in tutto e per tutto come fossero dei CD-R (i primi due): roba da mandare fuori di testa i flippati con le produzioni ben definite.
I Pelt, per chi non li conosce, suonano come una Vibracathedral Orchestra meno concitata. Per chi non conosce neppure la Vibracathedral Orchestra potremmo citare il Theatre Of Ethernal Music di La Monte Young, o meglio ancora i raga indiani rivisti attraverso la lezione della psichedelia e di John Fahey. La scarna veste in b/n cela però un'alta maestria tecnica e una notevole dose di mestiere (il gruppo è in attività da più di dieci anni). Trovo comunque che il disco soffra di una eccessiva immobilità e il brano che appare più riuscito è proprio quello che possiede una dinamica maggiore (si tratta del secondo che, però, dura da solo quasi la metà dell`intero CD). Mi sembra che questo eponimo album rispecchi bene la filosofia e la sostanza di un quartetto che, e scrivo ciò con il consapevole rischio di passare per sciovinista incallito, trovo essere meno stimolante di quanto lo siano, in un ambito simile, i bolognesi ¾ HadBeenEliminated. L`acquisto di “Pelt” è comunque consigliato, in definitiva, anche se non farei i salti mortali per trovarlo.
I salti mortali, invece, li farei per mettere la mani su “Catonapotato”, una registrazione dal vivo dei Volcano The Bear (in formazione a due) prodotta da quella che, stando al nome, dovrebbe essere la succursale discografica della notevole rivista svedese “The Broken Face”. Il gruppo inglese appare più ruvido e coinvolgente rispetto alle pur ottime performance in studio (*), in particolare grazie ad uno scarso utilizzo di quelle parti vocali che rappresentano da sempre il suo tallone d`Achille. La musica richiama alla mente le istanze migliori del progressive, quello che negli anni 1968-1970 ca. si suonava nel triangolo Chicago Londra Parigi, soprattutto per il suo sfuggire ad ogni classificazione in schedari ben definiti e per i frequenti cambi di scena. Sono possibili, anche in questo caso, dei paralleli piuttosto illuminanti, da quello con i finlandesi Lauhkeat Lampaat a quello con il duo Joseph Jarman / Don Moye. E` una musica dall`alto tasso sciamanico, questa, e trova altri input nel dadaismo della congrega wyattiana, nel primitivismo della Deep Listening Band e nell`improvvisazione libera di Albert Ayler e John Coltrane (i cui spiriti sono evocati dalla musica di Puppy Grill e dal titolo di My Favorite Tongues). I brani sono stati registrati nella prima metà del 2004 a Parigi (uno), Norrköping (tre) e in alcune località dell`Inghilterra (gli altri).
Lo stesso potere sciamanico, seppure promesso dal titolo, non è invece trasmesso dal CD di Richard Youngs. La voce e le melodie a tratti ricordano John Martyn e/o il Brian Eno di “Before And After Science”, e non ci sarebbe nulla di male se a ciò non fosse associato un mood timbrico (ed una gestione dei suoni) che riesco a definire soltanto come `stantio`. La struttura ripetitiva si trasforma, da trampolino di lancio verso l'infinito quale dovrebbe essere, in una stanca ripetizione che termina per annoiare. Penso proprio che nella discografia del grande Richard, alquanto nutrita, ci siano pagine molto più interessanti di questa.
Ma che cavolo vorrà dire `catonapotato`?
(*) Questo assioma non vuole essere assoluto, tutt`altro, e la sua relatività è dimostrata dal deludente concerto bolognese degli Animal Collective, che pure hanno giocato su una rappresentazione punk-noise del loro suono.
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