Con “Kiss the light goodbye”, disco co-prodotto da due giovanissime etichette nazionali, esordiscono sulla lunga distanza il quartetto dei Deep End, formazione italiana con all`attivo un ep, oltre ad una serie di esperienze, passate e presenti. L`impianto di base è quel rock esportato da Chicago negli ultimi 15 anni (tra l`altro la band nasce dalle ceneri dei post-hardcore Burning Defeat), su cui però vengono innestate una serie di interessanti studi e variazioni alla forma comunemente conosciuta come tale, complice un ricco campionario di strumenti a loro disposizione. Ad eccezione di un paio di tracce, le song sono tutte brevi (laddove questo termine fa rima con incisività ) e molto ben ingegnate: il trittico iniziale è da grande band, con una nobody can scare the mighty pussolini abbellita dal favoloso sax trattato di Alessandro Cartolari (i più lo conosceranno come membro fondamentale degli Anatrofobia) e due favolose perle che rimandano agli sfilacciamenti sonori di Joan Of Arc e Storm And Stress. Le successive new gold daymare, c-floor o la finale ...the fires, pur rientrando nel genere di cui sopra, hanno il pregio di evidenziare una band comunque già matura. Chiaramente la musica di quattro di Alessandria risulta molto più interessante quando osa e sperimenta, come ad esempio nelle avvincenti trovate strumentali di oh androids and electric sheeps o nelle altrettanto valide scomposizioni ritmiche di silence ... silenzio. I Deep End hanno certamente i numeri per superare in bravura quotate band del settore e la sensazione che viene fuori è che siano pronti, già dal prossimo disco, al salto di qualità ; andrebbero scrollati di dosso definitivamente alcuni vecchi retaggi, magari sperimentando soluzioni più ardite, come un maggior uso di elettroniche che, quando compaiono nel disco, sono sempre un bel sentire (i frammenti di ## e soprattutto back to mabuse). Il sound della band va bene già così, intendiamoci, ma a noi una maggiore ricerca in questo senso non sarebbe certamente sgradita; a loro la scelta.
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