L'estetica post-digitale consiste nel riciclo corpuscolare di un dove che diventa precariato metafisico. Terrestial tones, nell'inumanità incorruttibile della morfologia bislacca coltiva gemme che accendono lumi e consumano fuochi divini ed appaiono ghiacciai maledetti prodotti da una calcinazione mortale. Il nido dimesso da cui si dirottano questi oggetti africani che sono loop di sopravvivenze interposte a figure liquide e disegnate come visioni arcaiche si diramano come resurrezioni pazzoidi dentro la clessidra zampillante di uno spazio che non si ammutolisce e che pare andarsene nella commessura. Si tratta di un lavoro assai energetico, una specie di voodoo terzomondista in acido lisergico che lascia poche carte da giocare alla serenità di un ascolto. Eric Copeland dei Black Dice e Dave Portner di Animal Collective sfarfallano ardenti tremori taglienti nel teatro aporetico ed ambulante di un piccolo circo lunare dove riprese e conclusioni vestono i (de)finiti cuori di un asse perennemente bestiale sviscerato dall'immersione di un ventre squarciato. E` un disco che deambula rottami sonori come se venissero strozzati dopo un'orgia, è la visione del Karma di file indiane mosse da onde incomposte. La botanica malandata di "Dead Drunk", reminescenziale chiusura a volta della perturbante dicitura dei Residents, qui si traspone come una ghigliottina nell'atto di evirare clamori di una testa pesante per un teatro indigeno dove la musica si ricompone di alveari nascosti che si nascondono dietro diramazioni argentate, dietro apparecchi chip e meccaniche da stupro. Non è il Giappone glorioso, non siamo nei ritratti bianchi dei Dead C, non sono lucciole sfinite nè crune acuminate ma martiri invisibili di parentesi ridenti che si autocommentano dietro scavi rabdomantici ed automatismi d'invasione. La distanza che separa l'oltranza venosa di questi scorci zelanti e l'orrore scellerato di questi lampadari assurdi di luce a drappi è quella distanza termica degli annidamenti abbandonati: stormi di uccelli che esplodono da rifugi consunti. Questa musica, priva di autocontrollo, slargacuore, fatta di finestrelle e intarsi sentimentali sbatte come un treno allucinato dentro un paravento sorpreso: il caos è anche una tavola segmentaria che si nutre di goffaggini senza far filtrare conclusioni, parole, e significati. Se la musica è emotività , sessualità e maledizione, la cattiveria alberga qui e bisogna frequentarla.
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