Nel minimalismo radicale, quello non ancora compromesso da 'strutture complesse', quello che conseguiva l'immediatezza espurgandola da enfasi di pensiero, da pensieri forti si dirà , l'uso della fluorescenza Di Flavin, e le insorgenze costruttiviste di Tatlin, garantivano all'opera, l'esatta analogia col fruitore, garantivano l'esattezza fruitiva. Mi piace pensare questo "Fades", che per quanto ne so è la prima opera di Antonio Della Marina, come una complicazione dei severi segni diagrammatici 'of minimal use' verso lidi di esplorazione sconfinata e - soprattutto - variabile. "Fades" è innanzitutto un paesaggio vivente: questa a mio modo la straordinarietà dell'opera. Tuttora, il termine 'paesaggio' è inesistente come uso in molte culture; vi sono civiltà dove questo termine non esiste: si preferisce 'Paese', zona di confine ovvio, ma non di passaggio, di esplorazione. Fades è un paesaggio multiforme e popolato da intermissioni di oscillatori interlacciati su differenti colonnati armonici che sia per la predisposizione con cui vengono registrate, che per la complessità con cui si sostanzializzano, provocano anossia e fantasmi percettivi da tecnoscienza applicata. Sarebbe appropriato chiamarle dissolvenze casuali, poichè il disco è la testimonianza di un'installazione audio di sedici tracce indipendenti poi mixate in quest'uinca composizione, che non a caso per un secondo non riempie l'ora. Si tratta di musica minimale ad uso continuo, reiterativo; le maglie oscillatorie si susseguono a catena, invitando il pensiero a fondare delle 'Micro-vite', lavoro con forti punti di contatto con Luigi Turra aka Esa. "Fades" per la sua forma sequenziale e le continue oscillazioni che l'attraversano, ponendosi soprattutto come testimonianza ricreativa di un evento finito - ossia l'installazione -, accoglie tra le simultaneità che ne fanno durata e sistema-forma, una profonda vicinanza con l'ambient inteso come interazione fruitiva col luogo, e come passaggio continuo di stadi affettivi e patici. E' un lavoro che sfrutta sistemi-base, oscillazioni di diversi altezza, inviluppo e corposità volumetrica, eppure nella riunione delle linee quasi orchestrali non è lontano da una microsinfonia di sole macchine, una microsinfonia rituale fatta in assenza di controllo ma pensata e partorita come uno scopo umanistico. Lavoro particolare perchè si avvale di timbriche, organigrammi e variazioni che si riannodano esattamente alle prime fasi del minimalismo 'non barocco', eppure sia per l'intreccio, che per il parto improvviso di droni oscillatori che per la componente sinestetica che li attraversa, si sviluppano come un presagio continuamente instabile, incerto, ondivago. Cosa che fa di quest'opera non solo un lavoro di ricerca da studio accademico, e non solo un quadro di complessità anaffettive. Il disco finisce e parte laddove ricomincia.
|