Dagli ultimi respiri del 2005 emerge un`altra produzione per la neonata Henceforth, etichetta il cui spessore ingloba elementi cari sia all`improvvisazione, sia alla (nuova) musica colta.
Anche nel seguente caso si prospetta un complesso menage tra musicisti che aleggiano la propria indole tra derive accademiche contemporanee e arrabbiate visioni di marca free-form.
Non è un caso, quindi, che proprio sotto l`iscrizione di realtà dal taglio free (jazz) che trova agevole presentarsi il trio intestatario del lavoro, il quale dalle gesta del movimento afro-americano aspira tutta la sua irruenza nel rapportarsi con gli strumenti.
Gunda Gottschalk (viola e violino) e Ute Völker (fisarmonica) sono entrambe originarie di Wuppertal -in Germania- e stringono già da tempo un rapporto di collaborazione nei Partita Radicale, raffinato ensemble cameristico di musica da ricerca, alla stregua del famoso Arditti quartet. L`unione delle due con il contrabbassista belga Peter Jacquemyn gli consente di unirsi ed interagire con una figura, il cui spaccato musicale più si avvicina e si adatta ai lidi informali dell`improvvisazione odierna; basti citare qualche nome con cui Jacquemyn ha stretto rapporti nel corso degli anni e si scoprono mostri sacri, quali Fred Van Hove, Barre Phillips, Joelle Leandre...
e Peter Kowald, un nome con cui si sono cimentati / confrontati tutti e tre i creatori di “Baggerboot”.
Ciò che traspare dall`ascolto delle tre `cascade` è un flusso di coscienza impetuoso, dove la suddivisione in tre atti emerge unicamente come scelta formale. I tre suonano con passione, sudano, amano correre con i propri strumenti a tutta velocità e sostano pochissime volte dentro attimi di lenta quiete sonora. Potremmo menzionare senza troppe remore l`audace minimalismo americano e, con un pizzico di ironia, paragonare i tre movimenti, e la loro trazione circolare, ad una versione impazzita, metallica e paranoica del celebre “Koyaanisqastsi” di Philip Glass. Ad un primo impatto le orecchie (comprese quelle del sottoscritto) sono prese e violentate da una mistura di suoni acerbi, difficili da digerire la prima volta. Non si riscontrano mai attimi, seppur minimi, di stampo melodico e solo il suono degli archi mira a farsi riconoscere con chiarezza. Contrariamente la fisarmonica della Völker, attraverso un discreto lascito di rimbrotti e suoni astratti, lascia un`immagine di sè contorta: che tanto riesce ad evocare i fiati sbilenchi e corrosi di Braxton e dell`accoppiata Greg Kelley-Bhob Rainey aka `Nmperig.
Le note interne sono curate della grande Pauline Oliveros la quale, anche dal canto suo, tiene a sottolineare la viscerale ascesa dei tre `atti` e l`impeto, a dir poco, `furioso` dei musicisti a rapporto con i propri strumenti.
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