Dietro "For birds, planes & cello" si cela ciò che Francisco Verela attribuisce al significato di una macchina: "l'insieme delle interrelazioni delle sue componenti indipendentemente dalle componenti stesse". Il concept è quanto proviene dal cielo, territorio che per eccellenza non si dà come oggetto: uccelli di tutti i prototipi e rimbombi di partenze aeree, interpolate al suono di un violoncello che (forse) mima le medesime coordinate, ma dal sottosuolo. L'estetica in qualche modo somiglia al lavoro di Kuwayama Kiyoharu e Kijiima Rina su Trente Oiseaux, quando da sotto al ponte di un'autostrada, a mezzanotte, intevallavano violino e violoncello, per mimare (forse) l'esperienza della velocità e dei rumori urbani. Si tratta di un soggetto ecosofico pieno di biforcazioni a testa multipla, di ritorni temporali infiniti e mai delimitati nello spazio conchiuso di eventi, fatto di ricadute, d'incroci a stormi e continuamente minacciato dall'incombenza materica di un violoncello che striscia su note bassissime. Tutte le forme di reiterazione ambientale che si confrontano sul piano della persistenza di un luogo in qualche modo scommettono attorno all'idea di cattura scenica, di testimonianza sonora di un ambiente. Tutte queste forme sono forme localizzate perchè per quanto un evento sia fatto di forme sfuggevoli, e talvolta incatturabili (l'evento per esattezza è il non-ammantabile), queste forme restano la disposizione di un posto, di una strada, di un gruppo di persone. Qui i suoni sono suono di cielo, di entità veloci, di materie in continua polluzione, in continua delocalizzazione, e questo tipo di materiale aumenta il carico fantasmatico di tutto il progetto, comprese le sue componenti perturbanti. Indipendentemente da uno script, la "colta contemporanea", plana su orizzonti assolutamente autarchici, in alcuni casi risibili, perchè investiga in una modalità ossessiva tutto ciò che ha un qualche legame con la materia, con l'esistenza, spacciando tutto l'universo del presente come un universo catturabile, musicalizzato. Questo lavoro, composto da Miya Masaoka, ma eseguito da Joan Jeanrenaud, per quanto ancora interno alle maglie un po' croniche del cerebrale, per quanto ancora intessuto di una supponenza piena di sé, verticalizza in buona parte, se non altro per un gesto volatile, irrisolvibile, quanto sta nella terra per costruirne materia di passaggio e di poesia. Anche il lato prettamente tecnico di tutto il lavoro presenta una qualità di campionamento, di processing (riverberi, equalizzazioni) molto al di sopra della norma di un qualsiasi lavoro di field recordings; ed anche la dimensione dronica, in alcuni momenti del disco, diventa talmente mastodontica e misterica da rappresentare un nuovo oggetto di diversità . Dispiace constatare che buona parte di questi lavori, poichè si presentano all'interno di un proprio genere, appaiono dei lavori che sul piano cronologico e d'importanza storica restano sconosciuti ai più, mentre potrebbero segnare con un certo rigore una singolare testimonianza della musica di questi tempi (difficili).
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