Lescalleet, durante i suoi concerti, manipola lunghi nastri analogici nello spazio dove si esibisce come fossero ragnatele, violenta il computer e annega gli spettatori nell'ansia dell'attesa dell'evento.
Crudo e raffinato allo stesso tempo, potente e sfuggente il suo suono fatto di passaggi repentini e taglienti, finte attese maligne, deflagrazioni accecanti e crescendo vertiginosi. In lui si nascondono il boscaiolo, il chirurgo, l'alchimista e il predatore: sa tendere le sue trappole e attende pazientemente il momento giusto per annichilirti.
Il buio come uno scantinato, invasivo come una nebbia, luccicante come un bisturi.
Questo nuovo, in duo con Joe Colley, è un disco che ritrova le diverse anime dei suoi bellissimi album solisti ("Matresslessness" e "Electronic Music"): a concertare insieme a loro anche i neri corvi...
Altre atmosfere kafkiane e drones ruvidissimi con Kahn e con Hudak, entrambi registrati dal vivo; il primo nel 2003 in un angusto locale a Baltimora dove al posto dei due Jason sembra scivolare lenta una densa lava incandescente; il secondo, meno monolitico, chiusi dentro una cappella di una chiesa a Cambridge nel Massachuset, durante una tormenta invernale, con microfoni piazzati dappertutto a captare i lamenti dell'edificio.
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