Il Giappone è talvolta, o forse per sempre, la dislocazione medesima, l'incarnazione famigerata laddove le locuzioni per uno sfrenato random dialettico internano individuazioni sfuggenti, emblematiche particolariste, intenzionalità altre. Mas, se fosse un prodotto occidentale, per quasi naturale causalità , suonerebbe come un disco di Tied & Ticked trio uscito un po' in ritardo. Composto a Tokyo appare un pendolo che resta a ciondolare tra sfumature prive di consequenzialità e qualche dose d'imprevedibilità ottimistica, non tanto data dalla mistura jazz, di per sè forse già troppo disciplinata, ma dalle impronte dub e da qualche giochetto di plug-in da laptop. Musiche del genere di tempo ne hanno avuto e di possibilità pure, vederle riprodotte quasi senza sostanza così ancora a lungo non è un bene. Quella di Mas è una macchina leggera, di quelle radioelettriche: hanno una velocità anche fendente ma per un raggio d'azione limitato, tuttavia sono belle da guardare, col telecomando a distanza ti diverti anche, ma dopo un paio di giri stancano e da quel momento in poi sono fatte più per schiantarsi ed eslodere in mille pezzi, che vederle gareggiare. Un esempio su tutti? Fadomi, pezzo con qualche bella affinità con Midaircondo, ma che dei suoi sviluppi narrativi, poco progredisce, poco applica, poco dice e finisce com'era cominciato. Forse la sezione remix presenta qualche abbellimento ulteriore, qualche onda figa, qualche scretch che si ha piacere sentire, un paio di bordoni niente male; ma è il frutto di un'impersonalità tanto indifferente da sembrare suadente sempre e solo se si è a dieta e ci si vuole accontentare.
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