Il nuovo T.A.C. è un filmico viaggiare stranito nel cuore di una febbrile notte metropolitana.
Compatto ed umorale, ammaliante composto (in)stabile di linguaggi mutevoli e sottilmente inquietanti; la luce in fondo al tunnel che si intravede è fioca ma la concentrazione è massima.
Odora di corpo riplasmato, di aliena ferrea volontà ;forse è soltanto l`ennesima piccola storia marginale.
Ma di rispetto ne merita più di quanto gli è stato finora tributato (per capacità ; non per chiacchiere vuote).
Una poltiglia omogenea di umori dissonanti ed istintivi, la vagamente post industrial The End Of The Game, cupa e ripetitiva, la stasi acquatica della bellissima Broken (i Coil migliori ad un passo!); la Sacred Drift che regala influssi ritualistici stemperati in paranoica salsa ambient (bellissima!).
L`iniziale cadenza dub rancorosa di Rain Some Nights che apre fieramente questo lavoro; The ledge e I Should Have Known 1 e 2 che scivolano via sulle ali di una lenta dissoluzione interiore.
Un senso di compattezza generale che anche i momenti meno riusciti (quasi nulli) non riescono a dissolvere.
Il linguaggio libero dai vincoli di genere dei T.A.C. odierni meriterebbe ben altro che essere inserito nel calderone spesso stracotto del post industrial.
La piccola, incantevole (cameristica quasi) Little Fly è dimostrazione lampante di quel che dico.
La My Life At The Edge Of Chaos che sembra gemella positiva dell`iniziale Rain...
Un delizioso senso di doppio binario acustico/digitale che diviene un unico fascio di nervi in continua contrazione.
Una piccola (grande) storia prosegue.
Bellezze di casa nostra.
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