Le musiche si perdono dentro pareti, si diffondono nella stanzasfera, hanno la magia di non continuare a risuonare nell'infinito ma talvolta si presentano come flussi d'infinito. Perchè un suono non dovrebbe contenere come una caverna 3 o 4 secondi di riverbero? Perchè le pareti non lo fanno echeggiare? Kinetix si presenta al secondo lavoro su Small Voices con un concept di quelli che si producono una volta ogni 5 anni, dove alla parola concept resta il rigore di qualcosa che appartiene davvero al mondo mentale di un'idea, all'intenzione di trasformarla in un'azione dinamica e di movimento armonico, di trasportarla, come in questo caso, su due dischetti curatissimi, in un digipack che già è un'opera importante. "White rooms" per la sua pesantezza sepolcrale e vocale mi ricorda da vicino gli esperimenti che Carlo Alfano faceva sulle tapes, che teneva come diari di bordo, diari solipsistici perlopiù, e che testimoniavano una parte di tempo considerevole che veniva a consumarsi. Qui la voce sussume tutto il decorso del decadimento, soprattutto nell'ultima traccia del primo disco: sono vere partenze sintetiche, cumuli di calcificazione retinica, blocchi di suono liquido e fascinoso. E` un disco che affronta il tema della 'risonanza' come l'affronterebbe Rolf Julius, sia durante i momenti di teoresi che quelli di pratica effettiva. Kinetix detiene certamente dalla sua una specifica visione del criterio di 'spazio variabile': il divenire corpo di uno spazio. Non tutti i corpi sono posti spazialmente, e non tutti gli spazi appartengono ad un sogetto spazializzato. La convergenza pneumatica del lavorio di Kinetix consiste nel bipartire degli spazi: nell'effettuare alla Deleuze un giusto equilibrio tra percetti, affetti ma dentro l'espressione del molteplice che in questo disco suona come un'icona conica a più teste, e si presenta come uno spazio vettoriale composto da infinite variazioni cromatiche, nucleiche e sismografiche. E` per certi versi una continuazione del lavoro di Thomas Köner, dal momento che non si presenta solo come un corpo gelido che fa del macro/oggetto la sua punta culminante, ma si nutre di micro/posizionamenti, di piccoli slittamenti frantumati senza coprire con i drone tutta la percezione dell'ascolto. E` un lavoro che per altri versi si pone nella stessa puntigliosa consequenzialità di Ryoji Ikeda ma in una chiave 'calda', lasciando le microtonalità in sequencing ed interrogando più il silenzio come forma di acquisizione della percezione. In entrambi i casi questo lavoro appartiene ad un'ecologia acusmatica d'altri tempi, in quanto pone l'ascoltatore anche di fronte al non evento, di fronte allo spazio bianchissimo di una non-musica, e permette alla recettività di occuparsi anche della non-materia ma non allo spazio, in cui questi suoni sono inseriti, di non essere comunque uno spazio d'ascolto. Un ultimo cenno su questo disco è d'attribuire all'uso che si fa della voce dei filosofi. Anche Kinetix, come molti altri, imprime la sua opera della voce di Deleuze. Credo che se avessimo delle registrazioni delle lezioni kantiane, Kinetix, proprio perchè è fuori moda, e lanciato su un lavoro che appare molto complesso e serio, le utilizzerebbe al posto di quelle di Deleuze. Kant è stato il primo a formulare una nozione di spazio contingenziato dal tempo limite, che qui, in quest'opera suona meglio di tutto il resto. Se potesse parlare, approverebbe certamente questo lavoro!
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