Che ne è quando un tratto sospinge una cifra alla modalità di Garin de Troyes? Le forme sonore vengono sospinte dal materiale digitale e si demarcano più per polluzione creazionista (attività di forza) che per necessità interna della materia. Iury Lech fa sua questa formuletta: non materiale contenutistico ma tratti che verticalizzano la musica in direzione di un moto continuo che ricompone continuamente il proprio assetto vitale... e ci dice pure che così è la (sua) musica e che questo flusso caotico si mantiene su volumi altissimi, che possono distruggere pure la resistenza degli speakers. Al di là di puri fenomeni tecnosaturativi, il disco contiene anche una frontalità politica, una sorta di libera concezione del disordine impiegata sotto l'antinorma del mercato globale, delle rivoluzioni possibili, dei terzomondismi che devono emergere alle frontiere. Messaggio politico ultraglobale ed emergenza eversiva digitale spingono questi materiali disumani verso una fine della storia, fine della musica, fine della volontà musicale e ciò fa di questi materiali materia-animale ben più evoluzionista di qualunque flusso sonoro suonato in modo civile. L'intento fabbricatorio di Iuri Lech, a ben vedere, nasconde una speciale immunoreazione del disordine che non resta inconseguente ma si predispone con un oggettivistico presupposto di morfologia sonora, talmente netta, precisa e recisa, da dover far intendere che non è tanto la materia a doversi attenuare di forma quanto la forma a restare sobria di materia. E` un piano d'immanenza parecchio coraggioso questo, e semmai un'ulteriore volontà di precisione attorno alla natura di materia e forma nella musica elettronica. Iuri Lech sembra dirci che c'è ovunque superficie polimerizzata, l'abilità di un musico è quella di un perito con forti dosi ipostatiche, i materiali sono gassificati mediante congegni da laboratorio equilibrista, in cui davvero il musicista è un tecnico anche assediato da forti ossessioni saturanti e disturbanti e nello stesso tempo attento alla costruzione di una teoresi, possibilmente incentrata sulla faccenda dei poveri e degli squilibri mondiali e politici. "Instorments" ha quindi quella tensione di un intellettuale engagè e riscrive, semmai ce ne fosse bisogno ma non ce n'è, un'altra pagina indemoniata dell'incidente della musicologia del diciannovesimo secolo: le cifre sono cifre significanti e dovunque c'è il predominio del codice e questo codice prima di essere qualcosa è materiale ermeneutico e per questo esistono troppe chiavi per aprirlo ed una non basta. La particolarità di questi circuiti sonori così inflazionati qui resta una particolarità di tipo spastico tutta incentrata sullo sparpagliamento binario, sul prolungamento vettoriale dei tessuti maldestri del sonoro che per quanto onnipresenti devono cibarsi anche di ulteriori codici perchè le monadi sono anche delle finestre sul mondo e per quanto non passino da una sostanza all'altra in sè sono il microcosmo di una sostanza infinita. Importante questo disco....
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