Raggiunge infine le nostre orecchie, con la potenza di un masso sonoro, questo nuovo CD del misterioso collettivo francese, già annunciato da tempo e a lungo procrastinato. Purtroppo “The Return Of The 120 Magicians” esce in edizione limitata di 100 copie, e la nazionalità dell`etichetta (russa) non ne favorisce certo la reperibilità . Peccato, perchè si tratta davvero di un gran disco. Il retroterra industrial si miscela con la tradizione francese - da Edgar Varése a Olivier Messiaen, e fino alla musica concreta dei vari Luc Ferrari - e con una certa forza wagneriana, ma anche con le musiche ripetitive e, arduo da credere, con influenze mutuate dall`hip-hop. Il tutto, infine, viene spesso trasportato nei territori di una estrema dissonanza (`like` Merzbow). Detto ciò, qualcuno penserà che lo sto prendendo per i fondelli. E invece no, e il bello è che tutto questo ben di dio è ricondotto ad una sua inafferrabile ed incredibile unicità . L`inizio è al massimo dei giri con una cavalcata lenta e malsana, che può far pensare ad una incarnazione non-rock dei Black Sabbath, e il proseguimento è un volo circolare, altrettanto travolgente, dal quale emergono zone di dissonanza. Il terzo brano capovolge la situazione del precedente, sono cioè gli scampoli di melodia pura ad emergere da una barriera di rumore. Stick your fancy porcelaine de Limoges up your a... Paul Richard è una bolgia infernale sulla quale si eleva il fraseggio ostinato e veloce di un violino e, nel finale, una voce seminascosta che introduce il tema conduttore del brano successivo. Su Beauty i don`t know, capolavoro del disco, il leitmotiv è infatti rappresentato da loop di voci sottolineati da un ripetitivo incedere del pianoforte. Tanta grazia di dio sfocia in un breve stralcio che condensa tutto quanto è stato espresso dai brani precedenti (loop di voci, pianoforte e bordate di dissonanze). Dopo questo intermezzo il percorso maestro riprende sulle strade del noise, Paranoiac critic sembra provenire proprio dalla corte del signor Masami Akita, mentre in Of any kind si snoda relativamente più tranquillo e con tratteggi quasi surrealmente jazzati. Ma il soffuso gorgogliare di Danse de mort prende subito le distanze da qualsiasi forma di otomismo, e pregiati giochetti infantili introcuno poi alle atmosfere hip-soul-arrugginite di Magic Thought. E` quindi la volta di un romanticismo pianistico e orchestrale che viene distribuito a scampoli e che nel suo percorso va ad incontrarsi con una voce sermoneggiante. Il penultimo titolo ripresenta soluzioni più dilatate e liquefatte, ma comunque cariche di tensione, prima dello scoppiettante finale dove i suoni e le voci vengono trattati con tecniche tipicamente da 'hip-hoppers'. The Drahomira Song Orchestra: fachiri inferociti o giocolieri gaudenti? Ai posteri l`ardua sentenza, voi intanto fate il possibile per mettere le mani su questo disco.
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