1) Dalla Svezia arriva una monolitica sinfonia elettroacustica, ermetica ed inquietante come `il grido` di Munch, i cui suoni sembrano provenire soprattutto dalla manipolazione della voce dello stesso Ronnie Sundin (un autore la cui discografia si estende dalle maglie di Ground Fault e di Fällt a quelle di Häpna e Antifrost). Si tratta di un corpo che, nella sua crescita, raggiunge picchi estremamente intensi e irruenti, ma che nelle sue cellule mantiene pure un pregevole grado di trasparenza e scomposizione. L`humus del brano dovrebbe stare nelle scienze alchemiche... esoteriche... occulte, ed in questo senso va inteso il rimando di copertina a tre personaggi della storia svedese: la Regina Kristina (1626-1689), detta Re Kristina a causa della sua presunta omosessualità , il prete-poeta Carl Olof Arckenholtz (1723-1803) e il Conte Gustav Bonde (1682-1764), quest`ultimo abbandonò la carriera politica ed una importante posizione nella gerarchia del regno per dedicarsi propriamente alla ricerca alchemica. “The Amateur Hermetic” è sicuramente un`ottima realizzazione, ma l`eccessiva dipendenza dai prototipi del genere (in particolare Daniel Menche) la rende consigliabile solo agli appassionati più indefessi di questo tipo di sonorità .
2) Il sesto tomo della serie “Product”, il corrispettivo dei vecchi split in vinile, si presenta dietro l`elegantissimo lavoro grafico di Casey Reas e addirittura con una terna di autori. Pawel Grabowski e l`accoppiata Raposo / Rippie, in apertura e chiusura, presentano un tipo di paesaggistica sonora che può ormai essere considerata come `classica`, e quindi praticamente esente da rischi: lamine di suono che scivolano, a tratti stridendo, su stesse per il primo dei due; una maggiore articolazione, con una struttura che si snoda dalla balbuzie iniziale alla fioritura d`archi finale per Natureza Morta. Si tratta quindi di due brani molto curati e ben fatti che però faticano a farsi ricordare. Più singolare è la grafia di Jorge Mantas (aka The Beautiful Schizophonic) che divide la sua dedica a 12 figure femminili in altrettanti quadretti, tutti procacciatori di una certa `(at)tenzione`. Il primo quadro inizia con un brulichio di voci per perdersi in un sibilo dalle tinte oscure, mentre nell`ultimo i vellutati soffi iniziali - ottenuti rielaborando digitalmente campioni di death, thrash, grind e black metal - confluiscono nell`aggraziato `canto-beijo` finale (tratto dal film “La Captive” e sottolineato da onde marine). Gli otto spaccati centrali rappresentano invece altrettante variazioni su continuum sonori dall`aspetto piuttosto tenebroso (e un assortimento più bizzarro non avrebbe certo nociuto al risultato finale). Nulla di trascendentale, quindi, ma una pagina ben godibile proposta da un musicante degno di essere seguito con attenzione.
3) Solo un amore cieco e smisurato può portare a seguire assiduamente la produzione di Francisco López, copiosa e dispersa in quasi tutte le etichette discografiche del globo, e sinceramente preferisco riservare i miei affetti per altre cose (un fegatello, un buon prosciutto, una frittura di pesce, una carbonara fatta ad hoc, due bucatini all`amatriciana, un buon bicchiere di vino... cos`avevate mai capito!!!). Questo disco mi è sembrato però alquanto stimolante per il connubio di López con un marchio, quello guidato da Andy Moor degli Ex, che pensavo affaccendato dietro a sonorità totalmente diverse. La mia curiosità non è andata delusa, e questo 164° capitolo appare come uno dei migliori della serie “Untitled”, almeno in riferimento a quelli che conosco (o è forse il mio ritorno all`universo lópeziano dopo una lunga diserzione a farmi questo effetto?). Non vorrei mettere con ciò il lettore su una cattiva pista, chè il disco non presenta nessuna novità rispetto ai trascorsi del musico spagnolo: ci sono i silenzi e le tempeste, i suoni scuri e quelli soffici, le linee continue e quelle sferraglianti tipici del suo universo sonoro, ma mi sembra di cogliere un`articolazione, con corsi e ricorsi degli eventi sonori, una cura ed una qualità audio che si attestano su livelli medio-alti. Il tutto deriva da un progetto commissionato nel 2004 da un festival che si tiene a Brussells, e i suoni utilizzati - rielaborati e montati - dall`autore provengono tutti da registrazioni effettuate in quella stessa città con l`aiuto di collettivi e singoli musicisti che ad essa fanno riferimento.
4) Loren Chasse, con la delicatezza che gli è consueta, traccia linee di confine fra terra, mare e cielo. Le registrazioni d`ambiente sono lavorate in studio, lasciate libere o ricondotte a sottili zone di feedback, e montate a creare giochi di vita semplici, ma mai banali, e (in)credibili nella loro nitida purezza. “The Air In The Sand”, che ci somiglia fin dal titolo, è limpido come una giornata di primavera, ricco di colori come un paesaggio autunnale, soffice come una nevicata natalizia e fresco come un mezz`agosto passato nel sottobosco dentro le acque di un ruscello. E` l`espressione di uno spirito ultrasensibile, è una sinfonia bucolica di bellezza unica, è uno dei dischi più poetici che ho mai ascoltato e, indiscutibilmente, è l`acquisto prioritario all'interno di questa quaderna.
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