Una discreta orchestrazione prevalentemente acustica arrangiata con piglio inusuale. Una cura per la melodia non accompagnata da una ricerca nella struttura dei brani che possano assecondarla. Ci troviamo di fronte ad un esempio di minimalismo quasi scolastico, brevi idee ritmiche dai contorni sfocati ribadite in `ostinato`, con piccole varianti ad imitazione, ed è questo l`elemento che dà compattezza all`intero lavoro, la cui principale nota degna di menzione, aldilà dell`elegante mistura naive-crepuscolare, è il progressivo svuotamento, un lento e continuo svanire all`orizzonte. Non c`è effetto dilatatorio, ogni brano è privo di un inizio e una fine, 13 piccoli intermezzi che potrebbero essere frammenti di costruzioni più ampie, ma il cui sviluppo è lasciato all`immaginazione dell`ascoltatore.
Fin dall`inizio Cecile Schott gioca con tutte le carte sul tavolo, scoperte. Campionamenti di frasi colte in chissà quale sottobosco, field recordings a creare ora intimità , ora distanza.
Un esordio brillante, senza alcuna velleità innovativa eppure una riserva di spunti molto interessanti, una sobrietà che paga sia il nostro lato emotivo sia la nostra voglia di scavare, per un disco più complesso e misterioso di quanto possa apparire ad un primo ascolto.
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