“... after moving past perfunctory discussions of pink shoes and John Cage, they began to collaborate on what is usually termed `experymental music`...”
Già da una simile frase, si coglie a pieno l`essenza bizzarra connaturata nei Na: neonata band, completamente giapponese, formatasi ai piedi di Seattle sul calare del `05.
Loro, i membri, si sono conosciuti frequentando lo stesso college e rispondono ai nomi di Kazutaka Nomura, Shinsuke Yamada e Noriaki Watanabe. Il baule degli strumenti utilizzato è decisamente policromo, comprende chitarre acustiche ed elettriche, percussioni, pianoforte, tastiere analogiche e tastiere giocattolo, percussioni serie e percussioni `meno serie`, xylophoni ed una vasta gamma di programmi per computer, software e hardware...
senza dimenticare la voce, messa in campo quasi sempre dal solo Yamada ed in cui erge il tratto bambinesco e giocoso, radicato con forza in tutto il resto del trio.
Impossibile identificare un genere solo per la musica dei Na, loro fanno congiungere dentro “Naisnice” un miscuglio di stili e suoni i quali, riposti al microscopio, indicano scampoli di rock acido, low-fi grezzo, improvvisazione estemporanea al 100 %, melodie infantili e molleggianti, filature elettroniche, divise tra micro-wave, field recordings e (proto) noise ...
Una prima impressione sorta dall`ascolto potrebbe incanalare il trio dalla parti dei Boredoms, visto il legame nella terra d`origine tra questi tre mattacchioni e la storica band improv-noise di Yamatzuka Eye.
Scorrendo avanti nel tempo, però, diventano minori i legami nel mood con formazioni nipponiche, mentre maturano (notevolmente) tratti d`unione che accomunano i tre alle menti `perverse e malate` degli argentini Reynols: di sicuro la band più estroversa e sperimentale che la musica underground sui generis abbia consegnato al xx° sec.
Con il gruppo nato da Miguel Tomasìn, Moncho Conlazo e Anla Courtis si percepiscono gli stessi interessi per le geometrie astratte, indescrivibili ed irrazionali; lo permette di vedere il brano d`apertura, Na impro, che dialoga contemporaneamente con soffi di elettronica (analogica) ibrida, con spruzzate di improvvisata (ferrosa) e con piccole estremità di (lounge) jazz. Lo continua a mettere a fuoco il pop bislacco di B con tanto di chitarra gioiosa ed una ritmica del tutto `sfasata`; lo mostra Nais Nice che rantola tra arpeggi folk-eggianti, minuziose elaborazioni rock`troniche, voci stremate e disgregate da ogni (comune) melodia; lo riafferma quel sottile strato di bossa nova (strange) che manovra gli imput di Song of Roma, dove il lato (più) pacato del combo si materializza per mezzo dello spettro (velato) di uno xylophono...
Se ne trova per tutti i gusti: anche gli amanti del minimalismo più `educato` (quello à la Wim Mertens per intenderci) troveranno pane per i propri denti, nel cuore di Award Winning Strategic Designer e nell`essenza di una pianoforte reiterato; mentre gli innamorati della tradizione etnica potranno captare lontani motiv(ett)i orientali, svolazzare leggiadri tra un`acustica e uno xylophono in I`m Going To The Cold Bank.
Si vanno a rispolverare vecchie reminescenze kraut sulla falsa riga dei Faust in Morning Tribute, oppure sbucano come funghi atmosfere soporifere, ricche di arpeggi e field recordings, alla maniera di Sawako durante Red Square...
Non può passare inosservato il clima burrascoso, avviato al termine del disco da Moaning Call che fotografa la band, coinvolta dal vivo, in una pittoresca session improvvisata collettiva, a metà tra Merzbow, Flying Luttenbachers, Boredoms e Naked City.
Per una volta si è parlato di un disco che non condurrà quasi mai dalle parti della conosciuta scuola improv `made in Tokyo` ma che invece spingerà l`ascoltatore dentro un limbo dove ogni senso logico delle note si polverizza all`istante.
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