Si presenta in veste bianca con poche note di copertina questo nuovo disco che vede Keiji Haino alla chitarra, voce e flauto, il batterista dei Ruins (Tatsuya Yoshida) alla batteria e Mitsuru Natsuno al basso (in pratica la stessa line up che ha registrato il “Live At Cafe Indipendants”. Il bianco forse è un invito ad affezionarsi (per non dire a nozze) all`attitudine del trio.
Incudini martelli e spiriti nascosti viaggiano in una lunga impro dalle tinte scure ed aggressive.
Qui la violenza è da intendere come riflessione su se stessi e sul mondo. Haino ha già detto in passato che l`universo sta piangendo ma anche che c`è un frammento che desidera ardentemente di opporsi e bloccare il dolore che ci accompagna. Quel frammento è proprio lui ed è insieme ai rocciosi compagni che in questo caso costruisce un muro di feedback e riverberi che è quasi impossibile distruggere, per contrastare le urla di dolore esistenziale.
La sezione ritmica è un continuum formato da una batteria anelastica come il piombo, molto più vicina all`hardcore (cassa-rullante cassa-rullante molto frequenti) che all`alea free, ma allo stesso tempo anche molto `spaziale` ed un basso plastico che non si ferma mai e definisce giri armonici solidi e corposi che ti spara sulla faccia ( il riferimento agli Area è voluto, dato che Tatsuya Yoshida li annovera molto spesso come uno dei gruppi di riferimento).
La chitarra e la voce di Haino, che sommate all`energia termica generata dai cinetici accompagnatori danno una specie e magica colata lavica, sono come al solito l`espressione assoluta del calore.
Per chi conosce il suono dei tre musicisti possiamo dire che qui ci troviamo di fronte alla `materia grezza`, nel senso che i suoni di questo cd rappresentano la cifra stilistica ed il nucleo della loro arte.
L`impro inizia con Haino al flauto, con basso e batteria che fanno da contrappunto, e poi prosegue tesa e si espande infuocata mentre lo spazio si allaga di presenze occulte e magnetiche. Qualche soffio di silenzio intorno per attizzare le fiamma.
Questo disco ha una controindicazione, e cioè quella di ascoltarlo con la condizione dell`animo giusta altrimenti la vostra testa potrebbe rischiare di esplodere.(anche se so che questi avvertimenti non dovrei farli a voi, lettori di sands-zine). Ingenuamente si potrebbe dire che pecchi di ripetitività e prolissità . Credo invece che questo sia il su punto di forza. Il Rock per Haino e compagni significa (creare) l`impossibile, l`incompleto, essere sul filo. Se non si capisce questa intenzione si può finire con l`odiare la musica del trio.
Infine non mi chiedo se Sanhedolin sia un progetto che parla un linguaggio retorico oppure se la sua corazza free-prog-noise-psycho-core sia una fine sofisticazione.
Osservo e ammiro questa scultura di marmoargillalucecheriecheggialalontananzadelnullaefluisce che mi rinforza.
La PSF è un etichetta giapponese che fa uscire, in linea di massima, dischi di gruppi giapponesi. Questo CD è un interessante sampler di musica rock psichedelica dallo spazio profondo.
Il primo pezzo è degli Aural Fit (Behind 20, Beyond 20k): acido, ripetitivo, caustico, dall`incedere sabbatico. Tra Amon Düül, Spacemen 3 e Blue Cheer.
La #2 è dei mitici White Heaven (storica j-band psichedelica): in Mandrax Town (Live Version) l`atmosfera è più romantica, un po` sgangherata. Una voce da crooner ci accompagna nel viaggio lisergico.
La #3 è un laconico free per chitarra e batteria dei Kyoaku No Intention (Kyoaku No Blues II).
Kabe Mimi (con Green Pupil) nella traccia #4 dipingono un quadro astratto, dove gli strumenti sono dilatati e accompagnati da rintocchi di piatti zen e da delay e riverberi misteriosi.
Gli Suisho No Fune (Black Phantom) propongono un pezzo semplice di due accordi in minore da sapore arcaico cantati in un giapponese dolce ma anche disperato o, meglio, incazzato.
Poi è il turno di DJ Keiji Haino che spiazza l`ascoltatore con un indefinibile plunderphonic in cui realizza un incontro tra free jazz musica classica e da camera. Il risultato è pregevole ma la composizione non è certo l`unica che dà carattere alla compilation.
Hisato Hisiguchi dei Ghost ci delizia con una delicata ed eterea canzone per chitarra ed electronics dal titolo Cluster of Light. Poi c`è Hitai, un pezzo degli Tsuru No Ko che tenta di staccarsi da terra, suonato da una chitarra calda e tagliente e da una batteria lievemente mazzata.
Devo confessare che all`inizio della traccia nove (Prayer Of A Fool degli Overhang Party) mi sembrava di ascoltare un intro dei Doors! In realtà il brano è una ballatona tra Julian Cope e Syd Barrett.
Chiudono la bella compilation i Marble Sheep con Fla Fla Heaven, un fiammante rocknroll psychobilly etc. in 4\4, con una voce vicina a John Lydon e Lemmy Motorhead (!).
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