Chissà perché, negli anni 2000, uno decide di dedicarsi all``ud, questo strumento così antico che ha le sue radici addirittura nella remota Babilonia, e che poi ha sonorizzato la storia della civiltà araba dal suo sorgere fino ai nostri giorni? Eppure per Fabio Dibenedetto la scelta sembra essere naturale, quasi che sia stato lo strumento a scegliere lui e non viceversa.
Musicista di strada - o meglio: girovago - e affiliato all`Improvvisatore Involontario (*), il Dibenedetto è sicuramente già noto ad alcuni di voi per la sua attività concertistica in solitudine come Hanif. E sono proprio questi 'alcuni' che più si stupiranno nell`ascoltare un disco affatto diverso, e non solo perchè il risuonare delle corde è accompagnato/sottolineato dai trattamenti digitali di Carlo Natoli (altro affiliato all`Improvvisatore Involontario). E` tutto l`impianto sonoro a staccarsi dalla tradizionale e dalla moderna musica per `ud, allo stesso modo in cui un bimbo si stacca dai capezzoli materni per compiere la sua navigazione nel `paese delle maraviglie`, e lo spumeggiare subdolo delle parti `elettroniche` rende casomai più inquietante una rotta resa già insicura dalle premesse. Ne deriva una musica visionaria, dilatata, oscura e malata, qualcosa che potrei definire come una `psichedelia mutante` a base di corde pizzicate, fondali elettro-elettronici e silhouette di racconti esotici, e non è una stravaganza pensare che il disco farebbe la sua bella figura in un catalogo come quello della Last Visible Dog. E vorrei infine mettere una sottolineatura a proposito del sangue mediterraneo che scorre nelle vene di questa musica, anche nei sottofondi elettronici e non solo nel vibrato delle corde, a farne una colonna sonora morriconiana per paesaggistiche di tragedie, contadini, navigatori, migranti ed eroi. E se John Zorn si è costruito un piccolo impero con concetti come Great Jewish Music e Radical Jewish Culture, perchè non dovremmo noi parlare di `grande musica mediterranea` e `cultura mediterranea radicale`?
(*) Dell`Improvvisatore Involontario ne ha già scritto Sergio Eletto recensendo i dischi “The Anabaptist Loop” e “Psicologia del serial killer”
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