Che Henry Grimes non sia un novello del jazz lo testimonia il suo curriculum, iniziato a dipanarsi all`incirca quaranta anni fa. Intense ed estese le collaborazioni strette con diversi protagonisti della musica afro-americana, e questo spazio non riuscirebbe a contenere tutti i nomi e tutte le tendenze in cui Grimes si è cimentato.
Sonny Rollins, Anita O`Day, Gerry Mulligan, Benny Goodman, Lennie Tristano, Thelonious Monk, Steve Lacy, Sunny Murray, Don Cherry: una parabola svoltasi attorno all`intera evoluzione della musica improvvisata: dallo swing all` hard-bop, dalla new thing al free jazz.
E proprio relativamente all`ultimo movimento vale la pena di ricordare l`amicizia con Cecil Taylor e Albert Ayler e l`ingresso in pianta stabile, tra il 1961 e il 1966, nel sestetto formato dal pianista e in alcune formazioni del sassofonista.
Tanta freschezze creativa, però, cominciò a cedere un paio d'anni dopo aver dato alla luce l'unico disco a suo nome, “The Call” con Perry Robinson e Tom Price, per la gloriosa Esp. La depressione si era estesa nella mente di Grimes, facendolo cadere nell`oblio della solitudine e fuori dai riflettori per la triste cifra di trent`anni.Un buio immenso ha segnato quel lungo periodo della sua vita, non si aveva più nessuna traccia della sua presenza, qualcuno lo dava persino per morto. Fu un giornalista a ritrovarlo dentro un piccola pensione nel sud di Los Angeles.
Non sono molti gli anni che segnano la ricomparsa sulle scene e, se Henry è tornato da poco a incidere, gran parte del merito sembra vada in direzione di William Parker che insieme ad una ristretta cerchia di giovani musicisti free, lo ha convinto anche ad esibirsi nuovamente in concerto.
In questa cerchia si distingue anche il percussionista Hamid Drake che, in compagnia di David Murray, fa parte di uno dei trii più recenti diretti da Grimes. “Live At The Kerava Jazz Festival”, uscito da poco per la svedese Ayler, offre l`esibizione del trio tenuta la sera del 5 giugno presso la cittadina finlandese.
Quattro composizioni: Spin e Blues For Savanah composte dal contrabbassista, Eighty Degrees da Drake e lo storico omaggio ad Albert Ayler, Flowers For Albert, firmato da Murray.
Più che dirigersi in territori di marca free, il trio sfodera un gusto spigliato per i ritmi hard bop, sin dalla prima battuta.
In Spin fiati, batteria e basso dialogano con calore, emettendo una certa solarità , lasciando Grimes nel mezzo a dirigere un intricato assolo. Murray al tenore è in forma smagliate, scava nelle interiora del sax, soffiando da esso uno spirito Ayleriano, ma leggermente più docile e calibrato; Drake è fluido, bravo nell`incalzare la ritmica in determinate situazioni. Eighty Degrees persegue toni più miti e immortala un delicato duo tra il clarinetto basso di Murray ed il contrabbasso. Le pelli della batteria partono con atteso ritardo e si limitano a sorreggere pacatamente le fantasiose acrobazie dei due. Vapori blues che si respirano a pieni polmoni.
Piacevolmente allegra la melodia guida scritta per Flowers For Albert e ancor più eccentrici i lineamenti swing(anti) in Blues For Savanah.
Niente di particolarmente `aggressivo` all`orizzonte e, sotto la spinta del vecchio leone, i tre dipingono forme jazz limpide senza stringere rapporti troppo stretti con avanguardie e irruenze varie.
L`alto valore espresso va soprattutto nella direzione di Grimes e del suo ritorno: molti suoi colleghi, come lui, dopo i fuochi degli anni `60 hanno completamente voltato pagina chiudendo, qualche volta per sempre, il rapporto con la musica. Basta ricordare Giuseppi Logan, Byron Allen, Patty Waters e, per un periodo limitato, Sunny Murray.
Per (nostra) fortuna la maggior parte non ha preso la (sciagurata) decisione di chiudere per sempre lo strumento dentro la custodia.
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