Luca Venitucci mi è noto soprattutto par la partecipazione a progetti collettivi vitali come Ossatura e Zeitkratzer. Michael Renkel, pur avendo in ballo la presenza nel collettivo Phosphor, m`è invece più noto per qualche gemma rilasciata in solitudine. Ma andando a spulciare negli archivi vengono poi fuori un nugolo di collaborazioni, e anche il loro duettare non è proprio affare di giornata se queste stesse registrazioni derivano da sessioni berlinesi del 2002. Entrambi i musicisti hanno un retroterra che spazia dalla tradizione alle più recenti modalità che regolano l`improvvisazione di tipo elettroacustico, elementi sufficienti a far decollare una collaborazione, di rango nobile, che snocciola sottili trame eternamente sospese fra pensiero e parola. Questa sospensione è la caratteristica, e la stessa bontà , del disco, e anche quando sembra che i due abbiano voglia di urlare, di esternare con più `decisione` una propria vigoria, è come se una voce interiore li trattenesse, come se un fracristoforo puntasse contro di loro il dito esclamando: `verrà un giorno...`, a ricordare un inevitabile avvento della poesia e un`altrettanto inevitabile disfatta della barbarie. Già il binomio chitarra acustica - fisarmonica, corde tasti e aria, ma senza fiato, lascia intendere come la dicotomia pensiero - parola possa restare lì, sospesa, inespressa, ombra di luce che ognuno è libero di leggere liberamente.
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