Da un pò di tempo non capitava la possibilità di avere tra le mani dei progetti che come musa ispiratrice avessero i soli fiati. “Zona” e “Time Service” sono perfetti al caso, perchè presentano due figure similari, per la stessa provenienza dagli ambienti dell'avant-impro radicale, ma contrapposti nella costruzione, unicamente basata sulla sola emissione sonora del proprio strumento.
Alessando Bosetti è più astratto e lascia presagire una precisione per i dettagli in fase finale o meglio l'aspetto compositivo comincia ad azionarsi in quel preciso momento; Okura, d'altro canto, è 'geometrico' sin dalla partenza, esaminando con attenzione certosina ogni singolo (s)fiato espulso fuori.
Andando per ordine: “Zona” è importante perchè definisce bene lo schema concettuale odierno preso in riferimento da Bosetti, ovvero improvvisazione in real time, il risultato ottenuto al termine montato, assemblato e levigato secondo un'architettura degli eventi 'cinematografica'. Per schiarire ogni dubbio basta soffermarsi a riflettere sulle parole dello stesso Bosetti: “Immagina il girare la scena di un film, facendola recitare in tempo reale, senza tagliare, e riprendendola con sei telecamere in punti diversi dello spazio e scegliendo poi in montaggio finale il 'punto di vista'.” Tutto ciò è importante anche per tentare di comprendere e sorpassare quel 'tabù uditivo' che, automaticamente, respinge l'ingresso nell'orecchio di suoni non propriamente comuni, difficilmente accessibili ad un primo contatto, impervi e il più delle volte ostici. Il soprano è suonato ininterrottamente durante un'unica session, ad esso vengono apportati sei microfoni: due molto vicini (uno all'imboccatura ed una a circa metà strumento), due più lontani e due distanti circa due metri dal musicista. Quindi è nell'editaggio finale che si delinea il gusto personale per / della creazione. Prende vita un patchwork di suoni e rimbrotti che, se chiaramente riconducono agli albori dell'accoppiata Rainey-Kelley aka Nmperign, sfoggiano un carattere del tutto personale, dove Bosetti estrapola dalla cavità del sassofono un'anima(zione) ancora più tagliente, introversa, scabrosa, graffiante, urticante... per questo attraente. Un disco che necessita di continui ascolti e che schiude all'esterno i propri sentimenti lentamente. Complessa e articolata come tutta l'opera di Bosetti.
Masahiko Okura diventa sempre più una luce di imprenscindibile riferimento per quanto concerne le musiche di matrice improvvisata. “Time Service”, a differenza del precedente “Solo” (uscito per la Hibari Music), lo vede indaffarato oltre che ai 'personali' tubes (semplici tubi a cui viene applicata una normale imboccattura da sax) e all'alto, anche al clarinetto basso nella conclusiva Safety. Sostanza sonora dallo spessore rado, soffusa e impalpabile, come solo i giapponesi hanno imparato a farci apprezzare. Intermittenze che lasciano spazio al solo 'rumore' del silenzio, si accavallano tra di esse mediante una scansione del tempo simmettrica, volendo 'lineare' e miminale. Circolare (e gutturale) l'incedere di Lavnta, chirurgici gli intervalli (feldman-iani) suono-silenzio in Sylome, gli striduli impazziti di My Cabin Home, il sottile puntilismo in Indice, la materia 'sporca e corrosa' di Gorillatoast, il vellutato e accennato sound in Safety: tutti brani, ognuno diversificato dall'altro, che permettono di avere una visione globale del suono 'parcellizzato' di Okura; inoltre un'opera, “Time Service”, che riesce a fare innamorare e rendere succoso il tema del costante silenzio in musica, cosa invece non riuscita a due prodigi come Malfatti e Sugimoto in “Futatsu” dove, al contrario, si constatava un'eccessiva mancanza dei diretti interessanti, per giunta con pochissimo pathos.
Entrambi primordiali e grezzi.
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