Il nuovo disco di Paolo Angeli è destinato a suscitare reazioni forti in coloro che conoscono il musicista sardo solo per la sua attività di menestrello (inter)galattico. Coloro che conoscono il primo disco solista di Angeli, “Dove dormono gli autobus” del 1995, sono invece sicuramente più preparati all`ascolto di quella che resta, comunque, un`opera spiazzante.
E quest`opera - o `imaginary soundtrack`, come viene definita dall`autore - va a collegarsi proprio con il disco degli “...autobus”, formando con esso il binomio di una trilogia che verrà completata nei prossimi anni.
L`utilizzo del termine opera mi sembra quanto mai appropriato, e “Nita” si può inserire nella tradizione dell`opera popolare recente che va da Brecht/Weill a Pete Townshend e, perchè no, a Fabrizio de Andrè (quello de “La Buona Novella”).
Un`opera che mette in mostra il gusto di Angeli per l`orchestrazione, e anche qui è dovere citare la grande tradizione jazz (da Fletcher Henderson a Duke Ellington) e leggera (Burt Bacharach), ma anche quella orchestrale italiana (da Morricone a Gorni Kramer). Ci sono poi le musiche circensi (poteva essere altrimenti, visto il tema...), le musiche tradizionali sarde, le musiche delle bande gitane... è molta la carne che viene messa al fuoco da Angeli. Forse troppa. E questo è l'unico difetto del disco, perchè si accompagna ad una mancanza di definizione e a qualche cambio d`atmosfera eccessivamente brusco che rendono difficoltoso seguire la traccia del filo conduttore.
Ma “Nita” è anche un disco sull`amicizia, e questo è il suo pregio più grande, quella che lega Angeli al gruppo storico dei `bolognesi`, quasi tutti presenti, e alla vivace combriccola di Palau. Ed è anche un disco fortemente autobiografico, perchè nel suo peregrinare fra i generi musicali è possibile scorgere il girovagare del suo autore, che è oggi uno dei musicisti italiani più impegnati a livello di attività concertistica. Un aspetto, quello autobiografico, che si spinge lontano, fino alle galline di Ulisse che non sono le stesse, magari, che accompagnarono i suoi inizi di chitarrista autodidatta ma, indubbiamente, schiamazzano allo stesso modo.
Fra i testi, spesso frammenti carpiti alla quotidianità di personaggi tutt`altro che quotidiani, si distinguono alcune righe del poeta Angelo Masala (fra le quali un `estratto dal Manifesto per il tavolo poetico del Social Forum di Bologna').
Come potete vedere si tratta di un disco pieno di angeli (scorrete un po' anche la lista dei 'credits') e, in quanto tale, surreale... ma più che a “Il Cielo sopra Berlino” di Wenders lo assocerei ad “Underground” di Kusturica: stesse atmosfere, stessa ironia e stessi animali esotici in giro fra le macerie.