Era da tempo che attendevo questo nuovo lavoro dei Kar, e le cose attese troppo a lungo spesso finiscono con il deludere... ma per fortuna non è il nostro caso: “Sfrigor” è un disco splendido, forse la miglior cosa fin qui prodotta dal duo romano. Solo una manciata di minuti, ma sufficienti a far lievitare l`entusiasmo ed a solleticare l`idea di una produzione futura dannatamente intrigante. Sfrigor è un brano estremamente articolato, come mai i Kar ci avevano fatto sentire, che potremmo suddividere, ma solo per comodità di descrizione, in quattro parti ben distinte. La prima parte è quella più tesa, infernale, con suoni metallici che sfociano in un lamento sinistro e indistinto. Poi la tensione sfuma, si dissolve, e viene sostituita da quello che sembra un richiamo primitivo, come di un corno soffiato, e ad esso fa seguito uno sfrigolio ancor più sottile, l`idea del silenzio in macroamplificazione, o la captazione dilatata dell`industrializzazione in un nido d`insetti. Tutto si risolve infine nello scampanellare vitreo della breve coda, suggello di un piccolo grande racconto sonoro.
Sfrigor è l`appendice mobile e guizzante dell`industrial, quello che da Z`ev porta a Illusion Of Safety, Michael Northam e, infine, a Seth Nehil. Ma Sfrigor ha anche qualcosa, seppure siano assenti tutti gli elementi associabili al genere, che fa pensare al folk apocalittico dei Current 93, magari distorto, inselvatichito, filtrato, mondato delle parti cantate e delle parti di chitarra, ridotto ad un onirico viaggio nell`inconscio, subdolo esempio di poesia senza parole, di canzone senza cantanti, di arringa senza oratori, di lezione senza maestri... Forse Carcasi e Scerna non lo hanno neppure creato, ma lo hanno semplicemente trovato, così com`è, come ci appare... megagalattico.
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