Non credo che "Arborvitae" sia quel disco che tanti hanno acclamato al momento dell`uscita come capolavoro ma penso, comunque, che una serie di elementi 'chiari' ed 'evidenti' ne marchino una propria specificità . Un lavoro originale dunque, il risultato del primo incontro in studio di registrazione tra Loren Mazzacane Connors e David Grubbs, preceduto di breve da una performance live. La sensazione generale è quella di trovarsi di fronte ad un`opera 'incompiuta', perchè se si tengono in considerazione gli standard sonici dei due musicisti, i vari segmenti che corrono in passerella non si discostano molto dalle suggestioni predilette dai due. In particolare la poetica chitarristica di Connors, ora forse più taciturna, principalmente intenta ad accompagnare Grubbs nei momenti in cui si destreggia al piano. Il suo blueseggiare triste, nostalgico, non viene riposto nel cassetto ma neanche messo al servizio di particolari svolte nel confronto con lo storica metà dei Gastr Del Sol. Sarà Grubbs, quindi, a segnare maggiormente il passo staccandosi dal filone folk revival che negli ultimi lavori ha forse generato qualche deja vu di troppo. E quindi basta fare capolinea nel corridoio tra Blosson Time e la title track per apprendere quanto il mood silenzioso, le note centellinate, celino il proprio fascino nelle strutture minimali(ste) degli arrangiamenti, proiettando la mente al solo piano di Terry Riley in "The Harp Of New Albion", tra le sue cose più notturne e intimiste. Sensazione poi riassaporata, con più vigore e persistenza, nella conclusiva The Highest Point In Brooklyn. Quello che abbiamo in mano è un oggetto in cui l'atmosfera generale gioca un ruolo di primaria importanza e l`inverno di questi giorni gli fa un po' da specchio.
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