Da un pò di tempo correva la voce, ufficializzata in seguito dallo stesso Haino, della pubblicazione di un lavoro coniato dall'oscuro chitarrista a fianco del famoso suonatore di tsugaru-jamisen Michihiro Sato. “Tayutayuto Tadayoitamae Kono Furue” è il fiore sbocciato da questa relazione che li vede inscenare un'esilarante, quanto intenso, duo di sole corde. Cattivo maestro nei confronti della rigidità accademica, di cui è spesso vittima molta musica giapponese, il nome di Michihiro da diversi anni è rinomato nei circuiti impro. Il musicista persegue un discorso che esula dalle secche del virtuosismo museale e l'originalità della sua opera è proprio da identificarsi con il trait d'union instaurato tra l'antico strumento del Sol Levante e gli ambienti più 'intransigenti' dell'improvvisata. Un giretto niente male, a partire dalle collaborazioni con la downtown newyorkese (John Zorn, Bill Frisell), sino a quelle più audaci, al confine con lo spettro dell'elettro-acustica (Sean Meehan, Christian Marclay). “Tayutayuto Tadayoitamae Kono Furue”, innanzitutto, è un disco meraviglioso in cui il ricordo della tradizione si rigenera, eccitata, acquisendo le sembianze e le movenze della free form più radicale. Haino si dedica esclusivamente alla chitarra classica (in realtà si tratta di un'acustica a cui vengono montate delle corde di nylon), opzione che, per la delicatezza dei timbri pronunciati, dona una chiara lucentezza, nonchè un solido risalto, all'eccentrico virtuosismo insito nell'anima di Sato. Differenti arie tramano un unico racconto: dalla breve vignetta free della prima traccia, dove suoni trattenuti e un parlare astratto fanno di Derek Bailey la stella che brilla in assoluto, alla rinvigorita smania emotiva della seconda, bilanciata dai graffianti accordi di Haino e dall'estatico solo di Sato. Dopodichè le ansie si placano, e di seguito sono odori orientali a infondere energia ai successivi percorsi. Haino, da qui in poi, si produce in una particolarità : allentando il nylon, in diverse tensioni, riesce a ricavare un effetto straniante e inconsueto, mentre il compagno concede un assaggio delle sue qualità canore, irrompendo nel quarto segmento con un cantato tempestoso. Ripreso lo spirito anarcoide si prosegue tra improvvisazioni minuziose, sferrate taglienti e lo-fi alle corde, sfregate, corrose, tirate sin dentro l'anima. E... a questo punto non stupisce che un latente senso di nostalgia diventi pretesto per lasciarsi cullare dalle dolci melodie di un'estemporanea ballata folkie (l'ombra di Fahey) e, un istante dopo, stravolgere gli umori con picchi dalle note crepuscolari e dal fascino radicale per l'imprevisto. “Tayutayuto Tadayoitamae Kono Furue”, calando il sipario, è un disco dai numerosi ingredienti, tra i quali la scuola inglese (il vecchio Derek, ma anche altri signori come il giovane Rhodri Davies), l'estro bizzarro di Eugene Chadbourne e, ribadiamo, una buona dose di storia, ne costituiscono l'organico principale. Il resto è tutto lasciato alla fantasia dell'ascoltatore, ma sopratutto alla profonda, quanto vasta, conoscenza dell'universo musicale, sfoggiata da entrambi. 'Shamisen is the jazz of the Japan', così si pronunciava Chisato Yamada, tra i conoscitori più `impettiti` di tsugaru-shamisen, e non esiterei ad arricchire la frase con l`aggiunta della parolina free.
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