In questo disco scorre tutto liscio come l`olio, fin troppo, tanto che viene da pensare ad un lavoro produttivo super studiato, fin nei minimi dettagli, e ad una patinatura ricercata, ed ottenuta a scapito della libertà dai formalismi e a scapito della forza espressiva. Elementi fin troppo logici, questi, se calcoliamo che la Mego è una realtà ormai consolidata e non più in vena di stupire, nè tanto meno di rischiare, mentre quello fra le due musiciste, seppure non in questa formula così intima, è un rapporto che dura da più di un decennio, quindi assodato e pacificato. A questi dati di fatto va aggiunta l`inclinazione della Parkins, cosa sospettata da sempre e confermata dai recenti concerti della coppia, a badare più alla coreografia del suono che al suono stesso. Eppure, nonostante questi difetti, il disco non dispiace; è addirittura inevitabile abbandonarsi agli arpeggi e alle melodie celestiali, la Parker è pur sempre un`arpista, o alle fantasiose soluzioni ritmiche, la Mori è pur sempre una fuoriclasse d`inventiva, che di tanto in tanto emergono dalla giungla, malauguratamente sempre gentile, degli effetti elettronici. Il risultato finale mi sembra molto prossimo all`idea che uno può farsi immaginando una suonatrice d`arpa, affetta dal morbo dell`elettronica, che interagisce con i modelli tipici ai quali ci ha abituato l`etichetta viennese. Indi per cui il disco è consigliabile a chi segue con costanza la musicista statunitense, mentre chi ha a cuore l`evoluzione dell`ex DNA farebbe meglio ad orientarsi su “Entomological Reflections”, la quasi contemporanea realizzazione del trio Mephista da lei condiviso con Susie Ibarra e Sylvie Courvoisier. In ogni caso non fatevi incantare dalle apparenze: non si tratta affatto di un frutteto `fantasma`, ma di una piantagione sottoposta a quello che viene comunemente indicato come sfruttamento intensivo. Fra non molto il suo ciclo sarà concluso e, probabilmente, verrà riconvertita come prato all'inglese.
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