Per quel che ne so “The ear that was sold to a fish” dovrebbe essere il secondo disco del londinese Keith Berry dopo “The Golden boat” pubblicato da Trente Oiseaux, due anni fa. A parte il cambio di etichetta, non c`è molto di diverso dal precedente; resta una musica sempre di sottofondo, quasi impercettibile, quieta e uniforme. I drone sonori si sviluppano con continuità e ben amalgamati tra di loro, a parte alcune sottili particelle sonore in libera uscita. Il lavoro è il frutto di riflessioni filosofiche che Berry ha trasformato in musica con l`uso del mac, field recordings e di campionamenti vari. La delicatezza delle sue costruzioni è il fattore che più di tutti viene percepito ad un primo livello di lettura. Nel sottobosco vengono invece fuori una serie di suoni più o meno usuali e una cura certosina nel posizionarli e incastrarli tra loro. Berry col suo parlare sottovoce (in senso metaforico) chiede a sua volta all`ascoltare una riflessione, uno sforzo, un passo in avanti, un incontro a metà strada per la comprensione della sua musica. Bandisce la superficialità e l`ascolto distratto, regalando altresì, a chi è predisposto e soprattutto ha la volontà di lasciarsi coinvolgersi, piccole magie e un suono evocativo nonchè una soluzione contro lo stress della vita quotidiana.
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