Oren Ambarchi è uno di quei musicisti che preferiscono spaziare da un modello espressivo all`altro, senza imporsi confini riconoscibili, tanto che potrebbe essere tacciato di o`rourkismo di seconda mano, non fosse che alcune ciambelle gli riescono meglio che allo stesso zio Jim `tuttofare`. Spirito ondivago (e a rischio in quanto tale) distilla suoni che, con questo disco, precipitano nel calderone degli anni Settanta, fatto di progressive e minimalismo. `Precipitano` è proprio la parola giusta e, come nel caso dei migliori `precipitati`, in “Grapes From The Estate” si raccolgono le stille, le polveri d`oro, in una armoniosa fragranza che può derivare soltanto da una `non` banale semplicità . Le limpide modulazioni sulle corde delle chitarre la fanno da padrona, anche se, in due brani su quattro, il musicista si propone in veste multipla, utilizzando vecchi schemi di sovraincisione che gli sono sempre andati piuttosto a genio; ed ecco quindi fare capolino gli Ambarchi pianista, organista, batterista..., che si assommano all`Ambarchi chitarrista, con l`impronta su questi strumenti che si muove ancor più leggera e soave di quella impressa sulle chitarre. Così com`è soave e leggero, quasi impercettibile, l`apporto agli archi di Veren Grigorov e Peter Hollo (entrambi facenti parte del quartetto FourPlay: un`incarnazione australiana, virata elettricamente, del Kronos Quartet) in Remedios The Beauty. “Grapes From The Estate” è un disco di pacata ed umile bellezza che riesce anche a sconcertare, in un primo momento, ma finisce infine per conquistare con la sua grazia e con la sua ammaliante purezza. E` talmente venato da una luminosa e rilassata trasparenza che appare, come in un sogno, magicamente irreale, senza mai svelarsi completamente, pudico fiore, senza mai dischiudere totalmente il suo boccio, restando nitido all`ascolto e confuso alla memoria, dolcemente ondulato come le colline senesi, a rappresentare una realtà che si trasforma in visione, in miraggio, in memoria, in onirica psichedelia, incantevole e preziosa pervinca che, al momento del risveglio, è già svanita nel nulla.
Ambarchi gioca con i suoni con la stessa curiosità di un bambino che getta sassi nell`acqua. Lo stupore del plop, dei cerchi concentrici e del silenzio che ritorna a regnare sono gli elementi chiave per poter apprezzare “Grapes From The Estate”, e per amarlo senza riserve.
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