`Uccellacci è creare musica originale, lavorare sulla scrittura e l`arrangiamento usando l`organico come una piccola fanfara, un gruppo rock, una big band liofilizzata, un campionatore a vapore, una radiolina col motore truccato, una `garage fanfar small band`... La loro musica gioca con grande energia tra il contrappunto del quartetto classico e l`equilibrio `sezione ritmica, sezione armonico melodica`, cosicchè il ruolo degli strumenti è continuamente spostato; è fumosa, densa e allo stesso tempo ricca di trasparenze ad alta risoluzione; è sporca, confusa come l`italiano degli immigrati, ma altrettanto ricca di vita e di poesia; in bilico tra l`improvvisazione e la scrittura a quattro voci; probabilmente è una musica da ascoltare `fuori orario`...`
...a stilare una recensione dopo una simile autopresentazione c`è il rischio di fare la figura del salame.
Bene, ci provo (a fare la figura...).
Uccellacci è un quartetto di perfetto, stralunato equilibrio fatto di opposti. Innanzi tutto c'è l'antagonismo che divide i quattro fiati: da una parte due voci squillanti come la tromba e il sax alto e dall`altra due voci grevi (congestionate, direi) come il trombone e il sax baritono. In secondo luogo il conflitto è fra i fiati e le percussioni che viaggiano contrapposti senza nessun intermediario, quali possono essere un pianoforte o uno strumento a corda (escludendo qualche raro tocco di violino apportato dal trombonista Giorgio Simbola che, però, trova disposizione nello stesso piano dei fiati). Eppure c'è simbiosi.
Chiaramente è un equilibrio difficile, dato l`incrociarsi degli elementi di rottura, che si regge sulla grande abilità strutturante dei/delle quattro `fiatisti/e`, tre dei quali condividono quasi a pari merito la responsabilità di firmare i brani: 3 per Simbola, 4 per la Bignardi, 3 (più uno a mezzo con la Diurisi) per la Negro. A questa abilità fa da contrassegno quella strumentale, che vuol dire anche adeguarsi e non prevaricare, di tutti e sei i musicisti: sei gregari che indirizzano le loro pagliuzze alla costruzione di un progetto collettivo e complessivo.
Volendo cercare un termine di confronto farei il nome delle orchestre di Giorgio Casadei, se non proprio per il mood espressivo sicuramente per alcuni retroterra comuni che, almeno per gli Uccellacci, individuerei ne: il vecchio jazz orchestrale, le colonne sonore, Frank Zappa, il `rock in opposition`, Igor Stravinskij, le musiche latine, le tradizioni popolari (soprattutto la fanfara) e le poliritmie afrocentriche.
Le strutture, come già alluso, sono piuttosto elaborate e complesse, con arguti sketch di libera espressione individuale, mentre in almeno un paio di casi, penso soprattutto alla deliziosa Rimesto enigmatico, il sestetto si lascia aperta un`ottima strada in direzione della forma canzone.
“Uccellacci” è uno di quei dischi che ascolti una volta e puoi anche pensare: che brutto!!!!! Lo riascolti e rivaluti: mica così tanto.... Il terzo ascolto porta con se l`idea del: non male, che al quarto si trasforma in: belloccio... Dopo il quinto ascolto ti accorgi che non puoi farne ameno. Diffidate di un`occhiata panoramica e concentratevi a lungo sui particolari.
Pensierino curativo: e se nel futuro i musicisti avranno la possibilità di presentare da se i propri dischi, anche con l`aiuto di sampler (cosa che, a dire il vero, numerosi distributori, rivenditori on line ed etichette già fanno), e affonderanno questa stupida e parassitaria figura che è il critico musicale, pensate che saranno davvero in molti a piangere?
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