Recensire un disco uscito più di quattro anni fa, quasi introvabile e, per giunta, in un`etichetta che probabilmente ha già chiuso i battenti!!?! Qualcuno penserà che il sottoscritto è andato fuori di testa; la qual cosa può essere anche vera, ma non c`entra nulla con questa recensione che, per almeno due buoni motivi, andava fatta.
Primo: non mi sembra che su “Pain Pen” sia stato scritto più di tanto; direi anzi che la maggior parte degli appassionati di musica ne ignora l`esistenza.
Secondo: quando ho scritto l`articolo su Susie Ibarra ho liquidato il disco, dal momento che non ce l`avevo, in due parole (una delle quali addirittura inesatta). “Pain Pen” rimaneva così l`unico disco, fra quelli in cui la batterista appare come protagonista, a non essere stato trattato sufficientemente. Mi sembra un buon motivo per ritornarci sopra, se non altro questa `rece` può rappresentare una buona appendice a quell`articolo.
Oltretutto, pur non essendo il suo migliore, “Pain Pen” è sicuramente uno dei dischi più particolari a cui la batterista ha preso parte. Ad iniziare dalla formula strumentale, due chitarre, contrabbasso e batteria, che fa pensare più alla grande tradizione del rock - dai Quicksilver ai Fugazi, attraverso Television, Thin White Rope e Slint - che non a quella della musica improvvisata.
Da una parte la Ibarra e Dresser mostrano il bell`affiatamento che porterà due anni dopo al bel disco in duo su Wobbly Rail e a una buona serie di concerti, e dall`altra i fantastici intrecci delle due chitarre che mi hanno ricordato un vecchio disco di Larry Coryell con John McLaughlin (“Spaces” su Vanguard); ma, nel nostro caso, c`è una verve più coriacea e sanguigna. `Los quatros` swingano di brutto, ritrovando via via la strada del blues (Poolialoofair), della no wave (Oanseeaviears), delle varie incarnazioni free (Pallipaleipunop e Painlipensiveros), della ballata (Upslinelivveros), del bop (Loveilairliveros) e dell`allucinato viaggio psichedelico (Leinileansveros).
Per quanto riguarda i titoli mi ero affrettato fin troppo, basandomi su quanto avevo letto in un sito web dedicato alla batterista, a scrivere che erano degli anagrammi di `Pauline Oliveros`. In realtà essi hanno a che fare con il nome della compositrice, ma non sono veri e propri anagrammi e non sono riuscito a capire quale meccanismo è stato utilizzato nella loro ideazione (sempre che ne sia stato usato uno).
Insomma, per concludere, vale la pena di dare la caccia a “Pain Pen” anche frugando fra i resti di magazzino, fra le bancarelle dell`usato o puntando ogni tanto l`occhio sulle liste dei ristampati.
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