Non è possibile evitare confronti fra questo disco e “Irrintzi” di Xabier Iriondo (già recensito qualche mese addietro). In primo luogo perchè i due hanno alle spalle un percorso comune, tanto da poter essere ben considerati come fratelli d`arte. In secondo luogo perchè i due dischi, che per entrambi rappresentano l`esordio solista, escono a breve distanza l`uno dall`altro. In terzo luogo perchè sia “Irrintzi” sia “Silo Thinking” vengono albinicamente pubblicati in vinile.
L`elemento centrale, a fare la `differenza` fra i due dischi, sta nel fatto che mentre Iriondo allarga il suo punto di vista dalla tradizione musicale basca al rock, passando per il mondo dei cantautori italiani o della musica concreta, Cantù restringe sostanzialmente la sua visuale al solo universo del post punk. In una parola Iriondo usa il grandangolo, o meglio il fish-eye viste le immagini estremamente distorte che propone, mentre Cantù usa un teleobiettivo.
Come conseguenza, o magari premessa, Iriondo utilizza numerosi collaboratori mentre Cantù fa praticamente tutto da solo (unica eccezione nella recitato starfuckersiano di Federico Ciappini presente in Custer) utilizzando chitarre, basso, batteria, batteria elettronica, clarinetto e nastri.
Musicalmente fatto di un rock sferzante, martellante e nervoso - come detto i riferimenti stanno nel post punk, anche nella più lenta ballata strumentale che introduce Fine della Storia - il disco è pure estremamente `politico`, prendete la parola nel senso positivo del termine, e il forte impegno antagonista emerge sia nel moniker scelto da Cantù sia nei titoli dei brani.
L'ultimo titolo potrebbe far storcere la bocca - cosa mai ci incastra Custer con Makhno, Ulrike e con la Genova del 1960? - ma la voce di Ciappini rimette le cose nella giusta ottica. Non è infatti il Custer storico quello di cui si parla ma il Custer di un vecchio film. Non è il Custer massacratore di donne, bambini e cani cantato a suo tempo da Johnny Cash ma il Custer combattente che muore senza piegarsi alla preponderanza del nemico.
«Tra i ricordi che ho di quando ero bambino ce n`è uno che spesso ritorna e riguarda un film che vidi alla televisione una vecchia pellicola in bianco e nero che raccontava la storia del generale custer e terminava con lui a little big horn circondato dagli indiani cavalcando intorno al settimo cavalleria ne ammazzavano uno dopo l`altro e alzatosi in piedi l`ultimo a morire era proprio lui il valoroso custer che strenuamente combattè fino all`ultimo respiro ecco io spesso mi sento così sento che noi siamo così paolo circondati e senza alcuna speranza di salvezza e ciononostante valorosamente ci battiamo con l`eccezione che i nemici non sono i coraggiosi sioux bensì una massa di stupidi di ignoranti di pecore che obbediscono per paura e sono pigri e indecenti e servi mentre noi discendiamo dagli dei...».
Quello di Paolo Cantù finisce così per essere il sunto un cammino personale (anche artistico), magari fatto di delusioni e sconfitte, ma anche di cultura cinematografica e comunque segnato da determinazione ed estrema coerenza.
Ad accomunare ulteriormente i dischi di Cantù e Iriondo v`è la circostanza che entrambi i musicisti hanno effettuato le prove generali nell`ultimo 10 pollici della serie pubblicata da Wallace / PhonoMetak Laboratories e, a essere puntigliosi, proprio i due lati di quello split rappresentavano il loro vero esordio come solisti.
Nel lato di sua pertinenza, suonato comunque in solitudine, Cantù dava forma a quattro brani più d`atmosfera e di impostazione prossima a qualche vecchia chicca canterburiana, complice l`utilizzo di strumenti in grado di creare sottili infiltrazioni altromondiste quali sansa, organo e zither.
Nel lato B Iriondo si dedica alla valorizzazione delle tradizioni più popolari, elemento poi presente anche in “Irrintzi”, in montaggi fatti attraverso l`utilizzo di registrazioni naturali e vecchi 78 giri, corretti comunque con un moderato utilizzo di batteria, basso e chitarra melobar. L`utilizzo dei 78 giri sembra essere anche un omaggio conclusivo alla serie che, nel formati e nelle grafiche, si rifaceva proprio a quelle vecchie produzioni pre-vinile.
Bye bye Phonometak & Wallace Series.
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