Raramente nel recensire un disco parto dai paragoni, ma per quel che riguarda questo "Look at Me", dell`italiano Luigi Porto, mi è parso inevitabile volare con la mente verso Sparklehorse e Death in June. E` tra questi due artisti, peraltro molto diversi per alcuni aspetti ma simili (anche al nostro Luigi) nella solitudine espressa nei brani e in quella più pragamatica (e scelta) della dimensione creativa. Anche Appleyard College suona in solitudine (certo, in effetti in passato i colleghi Douglas P. e Mark Linkous hanno invece condiviso le loro musiche con altri, ma sempre sono stati al centro del processo ideativo), mettendo le mani su chitarre acustiche, trattamenti elettronici, ritmiche da drum machine minimali, pianoforte e qualche accenno orchestrale. Su tutto poi la voce un po` nasale, flebile, delicata e mai invadente. L`atmosfera, come avrete intuito, non è affatto allegra, si avvicina a tratti alla disperazione senza mai però abbandonarvisi con quell`autoindulgenza propria di troppi cantautori.
Tra gli episodi migliori, senza dubbio l`introduttiva Look at Me part I, davvero vicina a Sparklehorse con il suo piano sussurrato, e la conclusiva e stralunata Dawn Waltz, con i suoi filed recordings ed un violino strapazzato con amore.
Sono invece le lunghe e cupissime (ma con ariosa apertura finale sul filo di una chitarra acustica) Twice our Abandon Twice e Look at Me part III a riportare un po` ad atmosfere proprie della morte in giugno dei tempi di "The Wall of Sacrifice" o "Cathedral".
Un disco non facile, ma che certamente non dispiacerà agli amanti dei generi più oscuri ed intimisti, i quali potranno forse anche mettere da parte una produzione un po` lo-fi (probabilmente voluta) che a tratti non valorizza a sufficienza il lavoro nel suo complesso, davvero valido sotto altri aspetti, non ultimo quello della varietà : le tre parti in cui il CD è suddiviso sono piuttosto diverse tra loro ma sembrano costituire un percorso emotivo ben definito.
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