Manuele Cecconello, già conosciuto anche in ambiente musicale grazie ai suoi video per/con artisti come Fhievel, Luca Sigurtà e Logoplasm, giunge qui per la prima volta a confrontarsi con un intero film. E con film intendiamo un qualcosa che sta a cavallo tra il documentario e la fiction (prego lor signori lettori di non collegare questa parola al suo odierno significato televisivo post o pre telegiornale: Un posto al sole è lontano da qui).
Partiamo dunque dai difetti, che derivano esattamente da questa doppia natura dei lungometraggio: finanziato da Regione Piemonte, Cassa di Risparmio, Provincia e Città di Biella, il film risente forse un po' eccessivamente della (quantomai legittima) necessità di documentare il luogo in questione. Sull'altro lato, c'è una voglia invece anche di raccontare Oropa, ed ancora di più di evocare significati lontani da fatti e pietre. Già dal sottotitolo, Oropa in sogno, l'autore ci fa capire che non dobbiamo aspettarci 'solo' una storia, nè più storie. L'unico problema di tutto questo (si è detto: voglio partire dai difetti) è che l'incontro tra i diversi intenti riesce solo in parte: da un lato le immagini vibranti, evocative, poetiche soprattutto nell'introduzione iniziale, dall'altro personaggi - attori - che irrompono nello spazio scenico a raccontare, a volte perfino con ironia, quella che è la storia dietro e dentro il santuario. Dunque anche la voce fuori campo del protagonista oscilla tra riflessioni esistenziali (da ascoltare e riascoltare come poesie) e dati sul luogo.
Questo ciò che, a parer mio, stona. Richiusa la mente dello spettatore, riapro però il mio sentire ad una fotografia splendida. Ogni singola immagine della parte introduttiva, appena sottolineata dai suoni d'ambiente (ad opera di Leaf Sound Design, ossia i succitati Sigurtà e Fhievel), sarebbe da incorniciare se non vibrasse di quell'impercettibile movimento che Cecconello sa dare ad ogni singolo fotogramma delle sue opere. Già nei suoi lavori precedenti ciò che più colpiva era la sua capacità quasi unica di inquadrare frammenti di natura apparentemente statici e di cogliervi una vita vibrante e mai veramente immobile. Per esprimere, o meglio appunto evocare la spiritualità credo non ci possa essere strada migliore di questo sguardo immobile ma non fisso, fermo ma gentile, uno sguardo che sembra appunto creare ciò che vede. Quello che vede qui, sono inizialmente foglie, case, interni, candele, finestre, ma anche mani e volti, quelli di una madre lontana dal figlio. É dunque dal tentativo di questa madre di ricongiungersi al figlio che nasce la storia qui raccontata, che dalla metà del film in poi scorre sullo sfondo, mentre il santuario stesso si prende il primo piano, per poi tornare a mettersi un po' da parte e lasciar riemergere la vicenda, unendosi ad essa, nel finale. Ad ogni modo, anche la parte centrata su Oropa non manca di offrire inquadrature bellissime e di incuriosire chi non conoscesse questa meta di pellegrinaggio; qui, senza dubbio i tratti migliori sono quelli in cui Cecconello riesce ad accostare immagini di repertorio (girate credo in super8, e qui ritorna uno dei suoi più ricorrenti elementi) alle proprie di oggi: alcuni passaggi sono davvero eccezionali.
L'impressione definitiva è che forse Manuele rimanga un po' ingabbiato nelle maglie di un dovere documentaristico che non gli si confà del tutto, ma che anche, attraverso esse, riesca a districarsi, uscire e sollevarsi con grande poesia. Certo è che il modo in cui sa raccontare la spiritualità tramite l`unica cosa che la può più chiaramente mostrare, ossia l`assenza, è davvero unico e forse sublime.
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