Non sono un esperto di musica classica, conosco alcune opere e riesco pure ad apprezzarle, ma questo non fa di me un esperto in grado di scriverne esprimendo giudizi, tanto meno se questi devono essere categorici. Non saprei neppure quali parametri utilizzare per dare un giudizio su delle musiche che hanno già all`attivo numerose interpretazioni, anche se credo di capire come la critica del settore possa dividersi in filologisti puri e in non meglio definibili se non come gli `altri`. Per far parte di entrambe le categorie serve comunque una conoscenza che non ho, perchè in precedenza ho ascoltato solo alcune di queste canzoni e, probabilmente, non in quelle versioni che vengono considerate come `pietre di paragone`. Purtroppo l`interpretazione di un pezzo classico non la si può considerare semplicemente alla stregua di quella che è una `cover` nella musica pop, per cui la cosa è da trattare con i guanti. E allora non cercherò tanto di valutare la bontà di brani che sono considerati quasi unanimemente dei classici ne` di valutare l`interpretazione datane dai nostri due `protagonisti`, ma cercherò invece di capire (e di dimostrare) se questo disco può essere o meno consigliato al lettore medio della nostra rivista, magari andando al di là di un ovvio `conoscere è sempre utile e non fa mai male`. Per prima cosa voglio pormi la domanda `sarebbero stati felici Cage e Satie di vedere le proprie canzoni accomunate in un unico disco?'.
Per quanto riguarda Cage la risposta è senza alcun dubbio positiva, dal momento che il compositore americano mostrò in vita un interesse quasi maniacale per l`opera del francese (è noto come la sua Cheap Imitation fosse un`imitazione economica del Socrate di Satie).
Per quanto riguarda Satie, invece, ci spostiamo nell`ambito dei paesaggi immaginari, dal momento che morì quando Cage navigava intorno ai 13 anni e, per quanto il talento di quest'ultimo potesse essere precoce, tale età era sicuramente prematura affinchè il suo nome circolasse di già nell`ambiente musicale. Nell`arco della sua vita, quindi, Satie non è mai venuto a sapere nulla dell`esistenza di John Cage. Ma qual'era il suo mood? Satie era un musicista tardo-impressionista che non si accodò mai al nascente espressionismo, superando a piedi pari musica seriale e post-seriale per posarsi con disinvoltura fra i figli del secondo Novecento, epoca in cui la sua musica e la sua figura vennero riscoperte in guisa piuttosto consistente. Nella sua ricerca - un'eresia che diede scandalo fra i suoi contemporanei in maniera ben maggiore di quanto è stato fatto da John Zorn nel tardo `900 - prefigurò la musica per ambienti e la musica di sottofondo, la musica concreta e la musica elettronica (dal momento che fu fra i primi ad utilizzare il suono delle `macchine` in una composizione musicale), si accostò al jazz ed alle musiche orientali, scrisse canzoni per il varietà (che rompevano con la vanagloria del lied classico) e mostrò un acuto senso del paradosso: Vexations, un brano composto nel 1893, secondo le sue indicazioni doveva essere suonato ottocentoquaranta volte di seguito, quasi in un preavviso estremo di quella che sarà poi la musica `minimalista`, e la sua prima esecuzione pubblica, avvenuta nel 1963 (70 anni dopo la sua composizione!?!!), durò dalle 6 alle 12:40 del giorno seguente e vide alternarsi al pianoforte ben 12 strumentisti. Ebbene, mi sembra che anche per Satie la risposta debba essere di nuovo ed inequivocabilmente un sì.
Se la presenza spirituale del primo nei tessuti di molte delle musiche che solitamente trattiamo pare inequivocabile, ancor di più lo è quella del secondo. E questo contiene già una risposta anche al nostro primo quesito.
Vexations è incluso in questo CD, naturalmente non in versione integrale, ma una tantum il digitale può esserci d`aiuto e basta mettere il brano in loop per ottenere le ottocentoquaranta volte raccomandate dall'autore... sempre che l`ex ENEL (adesso è Eta) non ci tolga la corrente. Quello di Satie è uno dei due brani solo strumentali che si trovano in scaletta, l`altro è In A Landscape di Cage (1948), e nelle note al disco stilate da Mario Gamba si legge che «è stato interpretato non di rado come il frutto di una visione “ambient” ante litteram»... tanto di cappello.
Ma forse l`aspetto più intrigante del disco, almeno per quel che riguarda i nostri lettori, sta nelle canzoni, e non tanto in She Is Asleep e The Wonderful Widow Of Eighteen Springs di Cage, già proiettate nel presente fin dalla nascita, ma in quelle firmate da Satie, dove la trasposizione nel presente viene fatta senza che, all`apparenza, venga manipolato nulla. E` soprattutto il rapporto fra i due protagonisti a virare il materiale in questo senso - alt(r)a scuola e alt(r)a abilità - dal momento che lascia trasudare qualcosa di diverso dall`interpretazione ingessata solitamente abbinata all`esecuzione di materiale classico, qualcosa che definirei con il termine `colloquiale`; ed è difficile pensare che i due, dopo un esibizione pubblica, se ne possano tornare ai propri camerini indispettiti l`uno con l`altro, li penso invece al bancone del bar che si fanno insieme una birra od un bicchiere di vino. In poche parole non vedo affatto questi duetti come materiale da teatro ma li vedo come materiale da club, roba da sporcare con il tintinnio dei bicchieri e con gli sbuffi di fumo. Per Satie, statene certi, non potrebbe esserci un regalo migliore.
Riservo la parte conclusiva della rece a Sabina Meyer che, a differenza del Dalpane, abbiamo già incontrato in questo breve lasso di tempo ch`è la nostra vita (come sands-zine); la versione qui inclusa di Aria, un brano in cui la scrittura di John Cage lascia una certa libertà all`interprete, mi sembra migliore della pur valida versione che la stessa Meyer aveva recentemente proposto in “Cruelly Coy”, un disco pubblicato a suo nome del quale potete cercare un resoconto fra le nostre recensioni. Questa interpretazione (la cui registrazione è comunque precedente a quella di “Cruelly Coy”) è indubbiamente più brillante e spigliata ed è, al pari di tutto il disco, un bel segnale di vita.
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