`... To come o not to come?...` questo è il problema e credetemi, non sto meditando su qualche pratica onanistica nuova, sto semplicemente valutando che il jazz che doveva venire “è venuto” e che in certi casi com`è venuto se ne è pure andato. Chicago sotto l`egida degli Art Ensamble prima e di tutto il circuito che ruotava anche attorno ai Tortoise/Thrill Jokey (Mazurek, Parker, MacComb in primis) poi ce l`ha messa tutta per portare a compimento una metamorfosi che da qualche parte doveva pur arrivare. Sebbene la città spesso venga ricordata per Albini, post rock ed anche per la Victory (quando l`hard core era ancora in evoluzione...ricordate gli Iceburn?), resta che la “windy city” di jazz ne ha masticato e ne rumina ancora parecchio. Con un inizio del genere è facile immaginare che si tratti di un disco dall`essenza colemaniana ed invece direi che il mostro sacro che mi è venuto più volte in mente durante quest`ascolto è quell` “armadio a quattro ante” di Charles Mingus e scusate se è poco. Non parlo tanto dello stile, ma semmai di certe evoluzioni attorno allo strumento e soprattutto dell`idea trainante che comunque guida il pezzo. Direi che il jazz che “è venuto” è asciutto, legato alla tradizione ma allo stesso tempo non è un baule di vecchie chincaglierie rispolverate per i nostalgici come sembrano molte delle uscite del circuito (che Vandermark abbia ragioen a sparare sull`istituzionalizzazione del genere?). Filiano ed Adams non mi sembra vogliano spingersi nè in campi inesplorati nè in qualcosa che non conoscono più che bene, da questo nasce un disco in duo che nella sua semplicità e nella sobrietà ha molto del suo spessore, in questa filosofia vicini a dei concittadini illustri come gli On Fillmore. Adams gestisce i sax ed il flauto in un modo che mi ricorda (forse erroneamente) una riproposizione scarna di alcuni episodi più astratti di Eric Dolphy, ma ribadisco che se questo per voi significasse “disco stile piccoli fans”: nulla di più sbagliato. Groove quando serve (Ingope, Kleesh), scollamenti ed eversione free Exoid), ma soprattutto autocontrollo e uso delle pause (Tinver, Senful), calore (Yataph) ma anche molto, molto astrattismo. Un disco semplice in cui l`elettronica (stesso discorso della recensione del progetto bespoken) è quasi impercettibile, nonostante ciò si tratta di un lavoro molto vario e denso, direi che si può tranquillamente parlare di un disco ispirato.
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