Cazzo che disco!!!!!
Sinceramente, a ben guardare, di segnali positivi ce n`erano stati più d`uno: il delizioso CD-R pubblicato dai due su Frame! Records, gli ottimi album solisti dell`anno scorso su Wallace (Coletti) e Häpna (Belfi) e gli altrettanto ottimi CD dei rispettivi gruppi, Sedia e Rosolina Mar, entrambi su Wallace. Ma fra le premesse, le promesse ed il mantenimento delle stesse ci sono sempre di mezzo dei però, dei se e altri intoppi vari, ed è bello constatare come i due abbiano fatto tabula rasa dei pur numerosi ostacoli che sicuramente si sono frapposti fra l`dea e la realizzazione effettiva di questo magico “Watch Me Getting Back The End” che, essenzialmente, è un disco di chitarra e batteria; e il primo intoppo che si sarebbe potuto frapporre era proprio legato ad una formula, quella del duo chitarra-batteria, che negli ultimi tempi è apparsa piuttosto logorata dagli abusi che ne sono stati fatti. E questa è stata invece la principale scommessa vinta, dal momento che in “Watch Me Getting Back The End” non ci sono particolari riferimenti ad altri progetti dall`impostazione simile. Sembra piuttosto di sentire dei vaghi 'amarcord' dei Gastr Del Sol, dei (pre) Sinistri, dei Velvet Underground, del sound di Canterbury e altre nefandezze simili, ma ci tengo a precisare che non si tratta mai di calligrafismo... si tratta invece di quegli accenni, più nascosti che palesi (in quanto fagocitati e risudati), che sono il sale delle realizzazioni musicali più interessanti. I Christa Pfangen sembrano essere, in realtà , il contraltare latino degli altrettanto splendidi e personali MoHa! (duo norvegese di chitarra e batteria formato da Anders Hana e Morten J. Olsen degli Ultralyd): tanto quelli sono 'vichingamente' protesi in avanti, in una macha dimostrazione di potenza, quanto questi sono ombrosi e ripiegati in se stessi (perfino nei momenti in cui tirano il collo agli strumenti). C`è da aggiungere che sia il Coletti sia il Belfi sono avvezzi alla formula del duo: il primo nei Polvere (con Xabier Iriondo) e il secondo nei vari tandem lanciati verso l`esplorazione dei suoni in compagnia di Andrea Faccioli, Stefano Pilia, Ciro Fioratti... e tutto questo, naturalmente, può aver avuto il suo peso nella maturità raggiunta dai due sia come `compositori` sia come `strumentisti` (ammesso che i due aspetti possano essere scissi). Era chiaro che Coletti è un gran chitarrista, anche se ancora non l`avevo mai sentito `sciolto` come in questo disco dove, in qualche passaggio, finisce addirittura per ricordarmi Robert Fripp. Ma Belfi... solo un gioco di fantasia poteva far immaginare, nascosto dietro al terre-mo-tronomo che dava propulsione alla musica dei Rosolina Mar, il batterista così (dis)ordinato ed estroso che ascoltiamo in questo disco. Per quanto riguarda poi le parti cantate, dosate in piccole porzioni malate e inquietanti, i due rivelano a molti scalzacani verbosi come si possa fare buon uso delle proprie voci anche quando queste non sono particolarmente brillanti e/o personali.
Marco Carcasi mi ha detto di aver visto in Coletti il futuro del rock italiano. Davanti a questo disco posso aggiungere soltanto che... vedo doppio!!!!!!!!!
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