Quando esistono supporti che possono contenere ore di musica che valore può avere un cerchietto di vinile del diametro di 7 pollici (o di 10 pollici) in grado di contenere musica al massimo per una decina di minuti (o per una ventina nel caso del 10 pollici)? So benissimo che ai nostri lettori interessa il contenuto e non il supporto, e di conseguenza so benissimo che per un minuto di musica in grado di fargli vibrare le corde giuste sarebbero disposti a comprare anche una foglia secca di castagno. Ma valutando un attimo l`aspetto puramente commerciale della questione, e credo vi troverete d`accordo con me se dico che non sono i nostri quattro lettori a fare il mercato (e neppure i quattrocento di qualche giornale che va in edicola), mi sembra che nel pubblicare dischetti simili, quando le famiglie che annoverano un giradischi fra gli elettrodomestici sono praticamente ridotte a ZERO, ci stia più che altro passione e qualche soldo da investire in operazioni che rasentano la filantropia. Comunque va detto che i tre dischetti in questione si presentano come piccoli oggetti di pop-art distribuiti quali extra a situazioni-eventi multimediali di più ampia portata.
“Yellow”, per esempio, è stato concepito come piccola documentazione sonora di una mostra collettiva - che oltre a Luciano Maggiore vedeva coinvolti Filippo Manzini e Simona Barbera - tenutasi nella galleria d`arte fiorentina Villa Romana e intitolata “25 Hours A Day” (nel sito web di Villa Romana viene presentata così: «Se la giornata avesse 25 ore, il suo ritmo sarebbe più veloce, le singole unità temporali più brevi, lo stress maggiore. Se la giornata avesse 25 ore, potrebbe anche semplicemente estendersi, cioè durare un`ora in più. In quel caso, nell`arco di 25 giorni i tempi della vita quotidiana si svolgerebbero in modo del tutto indipendente dalla naturale alternanza di tempo diurno e notturno. Tramite i media più diversi, i tre artisti presentati realizzano spazi percettivi, oggetti e proiezioni monumentali, labili, stra-volti. Lavorano con le geografie della psiche, con eccentriche architetture acustiche e con paesaggi emozionali. Nell`opera di Simona Barbera e Luciano Maggiore, suono e immagine contribuiscono insieme a configurare lo spazio temporale dell`osservatore, mentre i lavori in carta e i fragili oggetti di Filippo Manzini simulano molteplici fughe spaziali ed equilibri al limite della forza di gravità »). Non ho avuto occasione di vedere l`installazione, quindi quello che scrivo si basa sull`ascolto del dischettino recapitatomi dallo stesso Maggiore e che, stando ai titoli delle quattro piste, dovrebbe contenere gli effetti acustici prodotti da quattro oggetti preparati dal sound designer bolognese per quell`occasione. Dell`autore ci siamo già occupati sia in occasione di un reportage dalla rassegna “NetMage” sia in qualche recensione, ma sono certo che la maggioranza di voi lo conosce per la partecipazione al progetto collettivo “Phonorama”, quindi mi sembra inutile dilungarmi sulle caratteristiche e sulla qualità dei magmi eruttati dai suoi `intonarumori` (nonostante la breve durata c`è comunque una bella varietà di nuove estetiche elettro-elettroniche: dai sibili stridenti del 1° brano, al crepitio piovigginoso e novembrino del 2°, al movimento / respiro orrorifico, ansioso e angoscioso degli altri due). Caso mai potrei obiettare che i pochi minuti riportati nel disco probabilmente perdono informazioni rispetto all`esposizione (sicuramente va a fottersi la parte visiva), ma il contenuto è comunque valido e il 7 pollici non è semplicemente un documento destinato/dedicato a chi ha visitato la mostra, ma può viceversa essere segnalato come imperdibile a tutti coloro che seguono quella scena multiphonica che da qualche tempo fluttua fra i portici del capoluogo emiliano (¾ HadBeenEliminated, Sinistri, Zimmerfrei, Phonorama...).
Anche “Back To The Plants” nasce all`interno di una mostra, esattamente “Untitled (Greenhouse)” di Peter Coffin nella rappresentazione al CAAC di Siviglia. Ma la sua genesi, e poi lo sviluppo che ha portato al disco, sono estremamente diversi da quelli di “Yellow”. Innanzi tutto David Grubbs e F. S. Blumm hanno improvvisato sulle chitarre elettrica ed acustica quali elemento intrinseco alla scultura. In seguito il tedesco ha fatto un`azione di post-produzione su alcuni frammenti di quelle improvvisazioni aggiungendo materiali del suo hard-drive, fra i quali il clarinetto basso di Wangenheim (1ª pista), la batteria di Thoben (2ª pista) e il basso di Türkowsky (3ª pista). Il 7 pollici che ne consegue esce poi allegato a “Drawings”, un libretto contenente alcune illustrazioni dello stesso Blumm. Il tutto finisce quindi con l`essere qualcosa d`altro rispetto a quella ch`era l`intenzione primitiva, e se la bellezza di queste tessiture - fra impro elettro-elettronica e minimalismo - convince senza mezzi termini, resta tuttavia il rimpianto per non essere riusciti, non avendo assistito alla rappresentazione di “Untitled (Greenhouse)”, ad ascoltare l`intera improvvisazione di base nella sua forma originaria.
“Alchemy” non ha nessuna esposizione quale retroscena e quindi, anche se alcuni titoli si ispirano alla scrittura di Cormac MacCarthy, John Berryman e Robert Frost, sembra mal inserirsi nel corpo di questa recensione. Mai lasciarsi ingannare dall`apparenza, chè il 10 pollici esce in una confezione illustrata dall`artista multidisciplinare turco Candas Sisman. La musica vede all`opera il solo Friedlander, uno dei migliori strumentisti usciti fuori da quel crogiolo (a volte sopravvalutato) detto `downtown` newyorchese, che saltuariamente si avvale di qualche sovraincisione e di qualche registrazione concreta, ma che soprattutto si avvale del suo violoncello, per pennellare 7 gioiellini di astrazione contemporanea che non sfigurano di fronte alla splendida copertina che li contiene e sono pericolosamente contagiosi... una volta che li hai ascoltati non puoi farne a meno.
Al precursore che viaggiava in automobile, nel romanzo “I magnifici Amberson” di Booth Tarkington, gli abitanti di una cittadina del midwest gridavano: «compratevi un cavallo!!!».
|