Mi diverto come un pazzo ad immaginarmi le madonne che il caro Maurizio Gusmerini libera nell'aria quando legge le recensioni di Frans De Waard su Vital Weekly. Pare che il severo e approssimativo olandese abbia preso con una certa antipatia le produzioni che il genovese (assieme al compare Edo Grandi) licenzia sulla propria Niente Records.
Ma, a rischio di beccarmi un destro sui denti ingabbiati nell'adolescenziale apparecchio che mi tocca portare, devo qui scrivere che De Waard non ha tutti i torti: il comparto grafico, come lo chiama lui, ha di che migliorare, e le idee alla base della sostanza delle uscite, sostanzialmente tra noise e sperimentalismi concreti, non sempre sono esattamente nuove o all'avanguardia.
Al tempo stesso però è innegabile come l'approccio della Niente Records (a proposito: dato il nome ed i titoli in italiano dei lavori, non è che a povero olandese vengono fatti mancare parte dei postulati di quanto viene invitato a giudicare?) sia radicalmente coerente con sè stesso e - per questo - forse da considerare con un occhio ed un orecchio più attenti. Nonchè con una mente paziente.
Ecco allora che i 30 e più minuti di onde radio raccolti dagli St.Ride sono sì cosa già vista e sentita (Steve Roden ne ha fatto un capolavoro col suo "The Radio"), ma al tempo stesso sono davvero bei suoni, sono comunque da ascoltare e ragionare nella loro radicale semi-casualità , o casualità controllata e selezionata dagli autori.
Per non parlare del ruvidissimo esordio su CD-R dei R.U.G.H.E., tra i cui membri troviamo il prog (ed altro) rocker Fabio Zuffanti. Disco di stampo vetero-industrial, forse vicino a tanto japanoise spietato, ma comunque con più di un punto a proprio favore. In particolare bellissima l`idea di sotterrare malinconiche ed eteree melodie in un masma di power electronics, sebbene forse tentare la via della successione degli elementi e non solo della loro sovrapposizione avrebbe giovato.
Vero poi è che le confezioni in plasticaccia nera 'abbellite' solo da un quadrato adesivo in copertina e da poche note fotocopiate nero su bianco non esaltano l'occhio. Ma ecco che la quinta uscita della label, prima non completamente italica, inizia a dare anche al packaging un'altra e migliore faccia (complici gli autori stessi).
Per non parlare della musica, un brillante, ostico ed a suo modo strabiliante coacervo di percussioni, elettronica radicale e voce imbizzarrita. Ma attenzione: non stiamo parlando di un massiccio assalto power electronics: al contrario i suoni sono minimali, scompostissimi, molto più vicini al jazz colto di Coleman che alla brutalità industrial. La voce (forse ispirata allo Stratos più 'out') dialoga con le percussioni e con un rarefatto rimbalzare di suoni glitch imprevedibile e a tratti unico. Forse per mia ignoranza nel campo, ma fatico davvero a ritrovare dei modelli di paragone se non forse in certe derive dello Zorn o Eye più sperimentali.
Non ho visto recensione di questo su Vital Weekly: o Gusmerini si è stufato di sprecare francobolli, o De Waard di fronte all'ennesimo CD con lo specchio sopra s'è stufato e l'ha gettato nello Spree. In tal caso ha fatto proprio male.
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