Credevamo fosse passata l'era del revival cabarettistico di cui le meteore Dresden Dolls sono stati alfieri qualche anno fa (ma in fondo anche Ciccio Antony è ascrivibile a tale risma), ma ecco questi un po' pretenziosi Next Stop: Horizon a metter fuori un disco che potrebbe essere fatto di outtakes dalla colonna sonora di Chicago (peraltro bellissima). Quindi quando veniamo investiti dal suono di contrabbasso swingato con pianoforte alla Kurt Weil, dal cantato enfatico alla Dietrich, dai duetti, dal tango, dalle filastrocche vagamente dissonanti, la prima reazione è quella di storcere il naso. Non perchè i brani siano brutti o mal suonati, anzi: i due ci sanno fare, eccome. Sono fin troppo bravi, e non manca loro neppure la fantasia di mischiare tutto questo ad elementi diciamo più modernamente pop, ma - come detto sopra - la formula è già abusata e ha stancato.
Però ecco che arriva la ballata classicissima di Ship in a Bottle: piano e voce, qualche coro sullo sfondo, semplicemente l'essenzialità di una canzone. Splendida, scintillante, commovente, forse banale, ma strappalacrime quanto basta per crederci davvero alla sofferenza che racconta. Il riferimento va alla misconosciuta Crowds dei Bauhaus, che - appunto - potrebbero essere tra i modelli di questo duo svedese.
Poi One of Those Nights, che invece con la sua chitarra elettrica dalle frequenze smorzate ci ricorda un Billy Bragg in vena meno rivoluzionaria e più malinconica, altra ballata da ascoltare quando la vostra ragazza vi ha lasciato e non vi sentite poi così male grazie a quella bottiglia di merlot che vi siete tirati giù in mezz'ora.
E allora questo disco cercatelo, anche solo per queste due canzoni, ma tenete a portata di mano un fazzoletto pulito.
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