Le grandi manovre jazz preparate dal trombettista Renato Cantini su “Neverwhere” prendono in esame un`idea romantica dell`improvvisazione da cui traspare un amore non nascosto per gli arrangiamenti sofisticati e notturni del Miles Davis pre-Bitches Brew (la chiave di lettura modale su Neverwhere, Da Vinci con tanto d`incursioni ambient).
Ad esse il Nostro fonde un impiego regolare di sonorità elettroniche configurate con la grazia della leggerezza che, in taluni casi, possono con scioltezza evocare anche le miti e impalpabili aperture all`infinito care al post rock (Kill the Man with the Tie), oppure cadere nei meandri della moderna ibridazione altezza Downtown (Toys, la ritmica raggrinzata di Cielo Magenta Elettrico). L`album insegue un percorso il quale, dopo un inizio cinto dalla melodia, si lascia prendere sempre di più la mano dalle energiche irregolarità di marca contemporanea, mischiando ad esse schegge di funky & jazz elettrico, decisamente dopato e un pizzico allucinogeno (La Casa di Edward, Smiles). Diciamo pure che in un arco di tempo piuttosto asciutto il performer toscano riesce a disegnare una Sua mappa cronologica dei tanti linguaggi che hanno fatto grande la musica afroamericana.
|