luca collivasone (intervista)    
di biserni mario




Possono essere diversi i percorsi che portano a un’intervista e possono essere diversi gli stimoli che creano l’input necessario alla sua realizzazione; conoscerli può aiutare a decifrare meglio l’intervista stessa.
Ero rimasto intrigato, quasi abbagliato oserei dire, da due dischi nei quali Luca Collivasone suonava il cacophonator (un intonarumori da lui stesso inventato e costruito, vedi le recensioni a Vostra Signora del Rumore Rosa e Rumpus Room), tanto da voler indagare un po’ più approfonditamente su un soggetto così singolare. Il mio interesse era nutrito pure dal fatto che l’ascolto del primo dei due dischi mi era stato suggerito da Gianni Mimmo, un musicista che da tempo seguiamo e che stimo profondamente, a implicare un valore aggiunto di vari giga. Il personaggio sembrava talmente interessante da meritare un approfondimento.
Una volta presa la decisione c’era da accertarsi sulla disponibilità di Collivasone a farsi intervistare e poi, qualora la risposta fosse stata positiva, andava scelto il percorso da seguire: andare a cercare tutte le notizie reperibili sull’intervistato, ricostruirne un ritratto e partire da questo per formulare le domande, oppure lasciare che si raccontasse da se.
Ho scelto la seconda strada perché, secondo i miei calcoli, avrebbe portato alla definizione di un quadro dai colori più viidi e veritieri.
È così che pian piano le tenebre si sono squarciare e ne è emersa la figura di un musicista dalle numerose sfaccettature, in attività da una quarantina d’anni, a capo di svariati progetti, dalle idee ben definite e in grado di riservarci ancora interessanti sorprese future.
Stupefacente!
Buona lettura.



Salve, voglio iniziare l’intervista andando subito al nocciolo.
Puoi descriverci il Cacophonator, strumento musicale che tu stesso hai creato?

Il Mobiletto di una macchina da cucire con ancora annesso il meccanismo di pulegge per attivare la macchina è il punto di partenza, fu questo marchingegno che mi portò alla mente gli intonarumori dei futuristi ed infatti i primissimi due suoni del cacophonator ottenuti dai meccanismi originali e già presenti sono, utilizzando la terminologia originale di Russolo un gorgogliatore e un rombatore. La macchina inizialmente era stata concepita come oggetto strano per implementare l’arsenale di suoni del batterista della mia band, e una volta sciolto il gruppo il cacophonator venne messo in cantina fino al momento in cui, avendo più tempo disponibile raccattavo, letteralmente, gli oggetti che mi capitavano per caso tra le mani o che trovavo in discarica e cercavo il modo di inserirli nel mobiletto. Non lo facevo con uno scopo o un progetto ben definito in mente, semplicemente mi divertiva l’idea di ridare vita a quegli oggetti buttati via, e quando ho realizzato che quel mobiletto era arrivato a contenere una bella varietà di suoni concreti, vale a dire con una loro identità specifica, ho avuto il desiderio di registrarli cercando fin da subito di poter far suonare quel congegno come una sorta di strumento. Ciò significava poter catturare ogni singolo suono in maniera isolata dagli altri e con una buona qualità, è così che ho inserito vari elementi piezoelettrici in prossimità di ogni singolo elemento, la qualità di questi economici piezoelettrici è davvero soddisfacente, in modo che ciascun suono venisse portato al sistema di amplificazione o registrazione. Il cacophonator è ancora così, come nella sua primissima versione, semplicemente ho migliorato certi dettagli via via che incontravo dei problemi nel registrarlo o, peggio ancora, nel suonare dal vivo (ma l’imprevisto è parte stessa dello strumento), cosi ora il meccanismo ha un piccolo pannello di interruttori col quale decido quale microfono attivare senza necessariamente averli tutti attivi contemporaneamente, ciò permette di separare molto bene i suoni evitando il feedback e aumentando la qualità. Il suono che prelevo dai vari oggetti viene poi passato, se lo desidero, attraverso due o tre semplicissimi pedalini a effetto oppure messo in loop.
Questo è quanto, una cosa molto semplice, l’esercizio virtuoso e anche difficile, ma molto stimolante, è invece organizzare tutti questi suoni e raccontare qualcosa. Direi che la cosa importante dello strumento è il fatto di avere tutti i suoni immediatamente disponibili in poco spazio e la possibilità di poterli organizzare in maniera ergonomica.

Quindi già da prima del cacophonator avevi un tuo gruppo?
Sì, già da prima del cacophonator ho avuto diversi gruppi a partire dagli anni ‘80, quando fondai la mia prima band, e da quel momento ho suonato un po’ di tutto: dal rock al recupero della musica degli anni ’20 al rockabilly all’art rock alla sperimentazione in genere, passando per la creazione di strumenti DIY, appunto, col cacophonator.
Ritengo comunque poco rilevante sottolineare i generi coi quali mi sono confrontato, la cosa importante è che il comune denominatore è stato, ed è tuttora, la spinta creativa e la ricerca di un modo differente di declinare tali stili di musica: li adatto a me, cerco di cucirmeli addosso, non sarei in grado di fare una copia pedissequa di un qualsiasi linguaggio. Prendiamo ad esempio la band Stiletto con la quale suonavo… diciamo Rockabilly, in realtà l’ispirazione era il rockabilly ma ogni composizione prese una deriva del tutto particolare e così successe coi Masked Marvels, recuperavamo il ragtime degli anni 20 suonando con basso tuba, tromba e trombone, ma la chitarra e la batteria erano decisamente più aggressive, figlie del punk. Coi Masked Marvels ci siamo spinti anche in territorio di musica d'avanguardia del 900, penso a Edgar Varese, e pur essendo in quattro ho cercato di comporre come se avessi a disposizione un’orchestra. È forse questo tipo di lavoro che esprime maggiormente la mia riluttanza a definire i generi in musica, e non nascondo che dal vivo abbiamo avuto sorprese sia in senso positivo che negativo: quando ci presentavamo non ci definivamo come una band di blues, ragtime, rockabilly etc, e molti si basavano sul look della band, ho sempre avuto a cuore il look delle band in cui suonavo (adoro il messaggio che può arrivare dai vestiti e dagli accessori), e traevano in certi casi delle conclusioni affrettate. Eclatante fu la volta che ci hanno invitato a suonare ad Albenga pensando che facessimo ragtime anni venti: dopo due canzoni ci han chiesto di lasciare il palco pagandoci il dovuto! Gli organizzatori si aspettavano tutt’altro, si erano fermati all'apparenza... ecco un video dei Masked Marvels che credo spieghi meglio delle parole quello che intendo: www.youtube.com.

Quindi, se ho ben inteso, il cacophonator è adattabile anche a contesti di gruppo?
Direi proprio di sì in quanto lo strumento hai in se gli elementi per creare ritmiche, momenti solistici e anche basi sonore e bordoni su cui appoggiarsi, in realtà possiamo intendere il cacophonator come una scrivania molto ben organizzata, con tanti oggetti immediatamente ed ergonomicamente disponibili. Un lavoro molto intenso è stato fatto poi nell’utilizzare quei tre o quattro pedali classici da chitarrista per trattare quei rumori (fuzz, echo, looper e reverbero), pensandoli però in maniera differente; ho davvero cercato di selezionare certi tipi di effetto andando a cercare certi glitch, certi difetti che appaiono su settaggi particolari, utilizzandoli a mio favore per creare ritmiche, ad esempio, o armoniche e dissonanze. Mi piace usare gli effetti andando a cercare quel punto del settaggio in cui l’effetto non fa quello che deve fare ma tira fuori l’inaspettato; ecco, il lavoro col cacophonator ha una componente alla cartridge music di Cage e un’altra in cui voglio organizzare questi rumori per raccontare qualcosa declinato in maniera quasi Pop. Il fatto di pensarlo con un gruppo è l’obbiettivo di “Rumpus Room”, una stanza appunto in cui si possono trovare ad esempio tre musicisti, un pittore magari, una ballerina, un poeta o scrittore e, appunto, come in una sala ricreazione senza un obbiettivo prefissato si interagisce per un’ora seguendo ciò che si desidera. Non è detto che si debba suonare tutti assieme ma, come dei bambini all’asilo, ci si incontra poi ci si separa e si da origine ad una performance. Mi piace molto questa cosa, niente di particolarmente originale, ma non so perché credo che col cacophonator possa diventare molto interessante. Per adesso in questa stanza ci siamo io e Gianni Mimmo, ma la porta è aperta, e comunque è dal vivo che vorrei creare questa cosa. Speriamo….

Comprendo, e colgo sempre una volontà di trasgredire, che poi è quella insita al disco con Mimmo … ma ci arriviamo in seguito. Però vorrei chiederti, più nello specifico, quali erano i gruppi (o le musiche) che più ti intrigavano quando hai iniziato? Hai mai pensato, ascoltando qualcuno, «ecco, vorrei essere così!»?
A tredici anni iniziai a conoscere le band rock e una su tutte mi ha affascinato da morire, era italiana e si chiamava Il Biglietto per L’Inferno, era una band progressive e le canzoni del disco erano collegate l'una all’altra da una storia. Mi piaceva l’idea di musiche dilatate e nel tempo conobbi Genesis, King Crimson, Zappa e tutti gli altri. Poi però arrivarono il punk e la new wave, puntuali per raccogliere quelli della mia generazione e io ci cascai dentro con gioia ed entusiasmo, era la nostra musica e mi ci riconobbi in pieno. Era una cosa talmente nuova, diversa da quello che c’era prima, e ancora oggi ringrazio di aver vissuto quella svolta epocale, quella vera e propria ondata di creatività, e fu in quel periodo che iniziando ad andare ai concerti compresi cosa vuol dire emozionarsi, essere proiettati in un’altra dimensione grazie alla musica. I miei gruppi preferiti erano i Joy Division, i Cramps, gli Stranglers, gli A Certain Ratio, gli XTC, tanti altri ancora e poi... i Simple Minds, che ho conosciuto in un’occasione davvero particolare.
In programma c’era una trasferta a Genova per vedere Peter Gabriel, i Genesis erano stati uno dei miei gruppi preferiti quando ero alle scuole medie e quindi Gabriel in Italia non potevo farmelo sfuggire, e sapevo che ad aprire per lui c’era un gruppo scozzese di new wave, i Simple Minds. Erano al loro terzo LP, davvero agli inizi, e io non li conoscevo anche se nelle varie fanzine ne parlavano bene, non c’era ancora internet e le notizie non viaggiavano così velocemente come oggi, quindi andai a Genova ansioso ed eccitato di vedere Peter Gabriel. Si spengono le luci ed entra sul palco il bassista della band supporter, i Simple Minds appunto, e inizia una cadenza col basso, interminabile per le abitudini del tempo e poi a poco a poco entrano gli altri musicisti, per ultimo Jim Kerr, il cantante, e la band attacca, ebbene io ero già ipnotizzato, non avevo mai sentito suonare la batteria in quel modo, adesso verrebbe definita math rock ma a quei tempi per me quel batterista era un architetto che elevava palazzi uno dietro l’altro con geometrie ipnoticamente regolari ed infinite, ogni musicista suonava il suo strumento come mai avevo sentito suonare prima, non erano ancora i Simple Minds che poi tutti hanno conosciuto, pop e commerciali, erano una band sperimentale, enorme, avanti anni luce e io ero inebetito e un attimo dopo mi accorgo che la gente gli urlava dietro e gli lanciava lattine, solo una piccola parte assieme a me li applaudiva ed era letteralmente catturata, uno dei concerti più intensi e belli a cui abbia mai assistito ed erano oltretutto solo 4 o 5 canzoni.., insomma alla fine mi ritrovai a guardare il concerto di Peter Gabriel ma continuavo a pensare ai Simple Minds, praticamente era come fare l’amore con la propria moglie ma avere ormai in testa un’altra, tornai a Pavia e comprai “Empires and Dance”, il loro ultimo disco appena uscito e ritrovai praticamente tutto quello che avevo sentito al loro breve concerto. Quella volta pensai che con la mia musica avrei desiderato indurre, in chiunque mi ascoltava, la stessa sensazione provata da me quella sera. «Ecco, voglio essere come loro», appunto, quella sensazione è stata così forte che ancora oggi, far provare a chi mi ascolta quella stessa emozione, rimane il mio più grande desiderio (Simple Minds, 1980).

Sei dunque sfuggito a quella logica, fomentata da parte della stampa musicale (almeno da quella italiana), per cui chi ascoltava il punk doveva odiare il progressive e viceversa (molti musicisti non accettavano comunque tale modo di pensare, ricordo un’intervista a Mark E. Smith dei Fall nella quale si dichiarava ammiratore incondizionato di Peter Hammill)?
Non sapevo di questo che mi dici a proposito della stampa italiana di settore, anche perché più che altro le riviste le sfogliavo distrattamente, andavo subito alle recensioni... certo mi rendevo conto che alcuni che appartenevano ad un certo movimento musicale si ponevano in antagonismo con altri, arrivando anche alle mani, in via Torino a Milano spesso i rockabilly si menavano coi punk, i mod con altri e via dicendo. Boh, a me è sempre interessata solo la musica, di tutti i tipi, faccio persino fatica a distinguere i generi, io ascolto anche molta musica lirica, sono molto appassionato e se penso a Rossini penso ad un’anima decisamente curiosa e votato alla ricerca della novità, del tocco originale e irriverente, Mozart direi che era letteralmente punk, ascoltavo i Joy Division e magari mezz'ora dopo Patrick Cowley e la Disco di San Francisco che mi piaceva da matti, se ascolto della musica non mi interessa che sia fatta con la chitarra elettrica o con un mandolino, a me interessa che come minimo mi intrattenga piacevolmente per qualche minuto, ed è già un buon risultato, se poi avverto qualcosa di più analizzo e cerco di capire se alla base c’è un concetto, un’idea che la motivi, e se la trovo allora mi chiedo chi sia l’autore, se poi quello che ascolto è del tutto originale o nuovo alle mie orecchie allora lo studio con avidità.
Appartenere ad un dato movimento musicale e sentire di appartenere culturalmente ad un dato periodo storico è molto bello, sapere di essere nato con lui potrebbe farti sentire speciale, io posso dire, sì,di sentirmi DarkWave nell’animo ma da qui parto e accolgo tutta la musica che c'era prima, quella che è arrivata dopo e quella che ancora deve arrivare, perché so che prima dopo ed in futuro, anche se espresse in maniera stilisticamente diversa ritroverò le stesse istanze creative...probabilmente, inconsapevolmente, sarò più sedotto da musicisti e incline a prestare un orecchio più attento a musiche che con effetto rebound mi restituiranno la carica emozionale della musica nella quale mi sono crogiolato negli anni più importanti della mia crescita, l’istinto ritrova in qualsiasi musica arrivi al mio orecchio quel qualcosa che mi appartiene, che mi ha segnat e che mi fa pensare di essere nella mia isola felice. Forse ultimamente, ancor più della musica, rimango affascinato dal musicista, quasi non mi interessa quello che sto ascoltando se in chi lo fa vedo quella spinta creativa o quella ricerca quasi dolorosa di esprimersi, ancor meglio, non che non mi interessa quello che ascolto di lui ma quello che ascolto diventa automaticamente interessante e di valore indipendentemente dal piacere che provo nell’ascoltarlo.

Dalla New Wave al Futurismo c’è comunque un bel salto… come hai conosciuto la musica dei futuristi e come ti ci sei avvicinato?
Quel salto è stato colmato in modo del tutto naturale, ero al liceo e frequentavo gli amici con la mia stessa passione per la musica new wave, intanto studiavo, a dire il vero non poi così tanto visto che mi han bocciato in prima liceo (e anche in quarta), allora diciamo meglio che studiavo solo le cose che mi interessavano, ad esempio il decadentismo in letteratura, i poeti maledetti, il movimento artistico della Bauhaus e via dicendo e quindi, ovviamente, anche i futuristi che adoravo. A pensarci bene molte delle cose che studiavo erano poi suggerite anche dai miei ascolti, tornando ai futuristi andai alle mostre per vedere i quadri dal vivo, lessi i manifesti ma lo stimolo decisivo venne da un mio caro amico che era appassionatissimo, direi che era futurista a tutti gli effetti, che un giorno mi fece vedere un disco sul futurismo. Luca Milite, che è anche l’autore delle foto del disco degli Aus Decline e di molte altre foto della band, mi introdusse così in modo definitivo alla conoscenza di quel movimento artistico: sapevo degli intonarumori, che venivano usati in orchestra, ma non potevo immaginare il risultato, ebbene in quel disco oltre alle poesie recitate da Marinetti e altro materiale c’era la registrazione di una composizione di Russolo, credo fosse “Risveglio di una città”, ed era fantastica. Capii quanto fosse avanti, come avesse già scritto una pagina di musica che sarebbe stata fondamentale per la musica a venire, adesso consideriamo l’utilizzo dei rumori come una cosa quasi scontata, ma pensiamo all’epoca, in un’orchestra per di più, insomma la musica va anche contestualizzata, va tenuto conto del periodo storico, delle abitudini, dello stile di vita, ecco considerando quel periodo storico Russolo ha fatto una cosa incredibile e la cosa interessante è che questa cosa stupenda è nata da un concetto di fondo di notevole spessore, la musica , diciamo importante, che vale, come qualsiasi realizzazione artistica ha sempre alla base un concetto importante, un’idea forte e il gesto artistico ne è una naturale conseguenza, mi verrebbe da dire che se hai una motivazione, un’intuizione formidabile, il risultato artistico è quasi scontato, ne è la conseguenza naturale.
Allora aggiungerei che il salto di cui parli forse è solo un salto temporale, che ha importanza solo nel contesto di un catalogo discografico o letterario, perché quelle idee e quella musica, seppur espresse in maniera diversa, sono ancora presenti e lo erano pure quando suonavo new wave.

D’altronde la New Wave non era affatto un genere musicale ma un’ondata che conteneva al suo interno un po’ di tutto: spinte innovative e detriti. Fra l’altro c’erano tutta una serie di derive e di gruppi che in parte erano figli anche del futurismo: tutto il cosiddetto industrial ad esempio. Seguivi anche gruppi e musicisti come Nurse With Wound, Throbbing Gristle, Z’ev, Test Dept, ecc?
Di quelli che hai nominato conosco solo i Throbbing Gristle, quelli li seguivo tantissimo assieme a Clock DVA, Tuxedo Moon, DAF, Residents, Snake Finger, Palais Shaumbourg per nominare alcuni di quelli più di ricerca e sperimentali….

L’aspetto fondamentale mi sembra comunque essere la curiosità, la trappola (o il demone, se preferisci) che sta un po’ dietro a tutte le passioni. E in te, oltre al musicista, mi sembra di cogliere lo spirito dell’appassionato …
Ci sono dei momenti in cui la musica, sia ascoltata che suonata, rappresenta per me solo un momento di divertimento e svago, niente di più che un passatempo, in altri momenti invece è motivo di analisi e di studio, mi piacciono entrambe le cose, passo dall’una all’altra senza soluzione di continuità. D’altronde anche nelle opere più importanti ci sono momenti estremamente leggeri, popolari, semplici, non impegnati, chiamiamoli come vogliamo.
Quando invece mi confronto con la materia musicale in quanto espressione e ricerca allora davvero mi ritrovo sempre nel solito bosco, posso prendere un sacco di direzioni, mi piace perdermi, la sensazione che provo spesso è di smarrimento, nel vero senso del termine, i primi tempi, agli inizi, mi domandavo «che cosa sto suonando? No, non va bene, non è quello che avevo in testa» o, peggio ancora, pensavo «non è rock» oppure «non è abbastanza dark» e via dicendo. Questa fase è durata veramente poco altrimenti avrei dovuto smettere di suonare all’istante, accettai l’idea di incamminarmi e lasciare che le cose accadano e ora provo gusto e paura nel perdermi e approdare chissà dove, ecco per rispondere alla tua domanda, la mia vera passione sta in questo, nel subire in un certo modo la musica, subendo la musica subisco me stesso, una sorta di autoanalisi. Cerco sì, di dominare la materia e il materiale, studiarlo, ma ad un certo punto devo lasciare che sia lo strumento stesso e l’istinto a portarmi non so dove.
Il cacophonator in questo senso è stato molto d’aiuto, il dover imparare nuove gestualità porta a risultati imprevedibili, l’utilizzo di uno strumento musicale in modo ortodosso implica necessariamente delle limitazioni ed è per questo che con la band ho provato, nel suonare la chitarra, ad applicare lo stesso concetto del cacophonator. Suono la chitarra appoggiata su un tavolino, mi è impossibile fare accordi in modo convenzionale, le scale e le parti soliste sono suonate diversamente, ho dovuto guardare lo strumento da un punto di vista diverso e ristudiarlo, ho voluto perdermi per trovare una nuova strada, tutto questo determina fatica, incazzature, passione appunto in senso letterale, ma anche molte soddisfazioni, suono cose che mi sarebbe impossibile fare con la chitarra imbracciata nell’altro modo e di conseguenza mi esprimo diversamente.

Oltre alla chitarra e al cacophonator suoni anche altri strumenti?
Suono anche la tromba, che mi piace tantissimo, e quindi basso tuba e trombone. Le primissime tracce del progetto Masked Marvels, prima di trovare i musicisti, erano tutte suonate da me: batteria, chitarra, basso tuba, tromba e trombone. Coi Maciste ero alla tromba. Strimpello (come del resto anche tutti gli altri strumenti) il pianoforte, direi però che la mia attenzione è più rivolta al lato compositivo e al suono, mi considero più un compositore che uno strumentista... agli inizi pensavo allo strumento musicale unicamente come qualche cosa da aggredire con tenacia e costanza per impararlo, diciamo che il quadro era fornito dal conservatorio che ti metteva davanti anni di studi per poi poter dire di saper suonare quel dato strumento, e cosi avevo approcciato la chitarra con quel piglio ma ho resistito solo due anni, non reggevo l’idea di poter fare qualcosa solo dopo così tanti anni di studio, sono molto pigro di natura e per buttarmi a capofitto in qualcosa devo proprio innamorarmene e avere subito dei risultati. Il punk è stata una benedizione per me ed è stato il mio personale conservatorio, davvero puoi suonare qualsiasi strumento, lo strumento è solo un mezzo e può essere usato in mille modi diversi, sta a te elevare anche il suo utilizzo più semplice e basilare a gesto virtuoso e artistico, sto pensando ai tagli di Fontana, quante cose puoi fare con un taglierino, con questo non intendo assolutamente dire che non serva studiare uno strumento, anzi è fondamentale, magari conoscessi a fondo tutta l’armonia e più strumenti possibili, quello che invece intendo dire è che secondo me è assolutamente importante iniziare fin da subito a creare con lo strumento anche con quel poco di conoscenza musicale che si possiede, lo studio e l’applicazione devono andare di pari passo ma non con l’idea di esercitarsi solamente, fin da subito, fossero anche solo tre note, vanno considerate come il proprio vocabolario per iniziare pmmediatamente a creare qualcosa. L’unico limite è solo ed unicamente la propria fantasia, la propria creatività.

Da quello che hai detto fin qui si può intuire anche come e perché è arrivata la collaborazione con Gianni Mimmo …
Inizialmente andai nel suo laboratorio per fargli riparare la tromba, non lo conoscevo e avevo trovato il numero sulle pagine gialle, e una vola che fui da lui, mentre mi saldava il pezzo distaccato e chiacchieravamo del più del meno, mi disse che il giorno prima era tornato da una serata. Non so per quale motivo, sarà forse per il viso sorridente o per l’atteggiamento pacato e sereno, ma mi misi in testa che suonasse in una orchestrina di liscio. Per me Gianni fino a quando un nostro amico comune non mi parlò di lui e mi invitò ad ascoltarlo in registrazione nella chiesa del Carmine, era un sassofonista di una qualche orchestra di liscio!
Fu solo qualche anno dopo, quando il mio amico mi disse che andava a fare delle prove di registrazione all’interno della chiesa del Carmine, che seppi davvero chi era Gianni e che tipo di musica faceva. Mi piaceva moltissimo come suonava, ma ancora non avevo per la testa il cacophonator e quando poi, qualche anno dopo, il cacophonator era diventata una realtà e la mia attenzione per la musica improvvisata e d’avanguardia si prendeva buona parte del mio tempo mi venne in mente che potevo fargli vedere il mio progetto. Mi ripresentai quindi nel suo laboratorio e gli mostrai il cacophonator, iniziammo quindi così, anche solo per il gusto di trovarci, a fare delle prove assieme e fu subito chiaro dalle primissime volte che i due strumenti si sposavano benissimo, ma soprattutto c’era una bellissima intesa tra noi due. Oltretutto entrambi ci rendevamo conto che si andava persino oltre il semplice concetto di improvvisazione, che nascevano delle piccole composizioni istantanee, dei quadri con un loro svolgimento, e così continuammo a suonare per un anno durante il quale io registravo tutte le prove. È una mia mania, mi piace avere tutto ciò che faccio registrato, e quando venne l’idea di pubblicare un disco e ci chiedemmo dove saremmo potuti andare a registrarlo, realizzammo che avevamo ore e ore di materiale in altissima qualità già finito, in pratica il disco era lì bell’e pronto ad aspettarci.

Nel mio immaginario una collaborazione come la vostra dovrebbe avere una doppia funzione, da una parte arricchire entrambi e dall’altra, essendo il vostro pubblico di tipo diverso, dovrebbe riuscire ad allargare la base di ascoltatori per entrambi …. Funziona davvero così? Oppure chi seguiva Mimmo continua a non interessarsi alla musica di Collivasone e viceversa …
Il disco è piaciuto al mio e anche al suo pubblico di ascoltatori, sarebbe stato molto più interessante valutare la presenza di quelle differenti tipologie di ascoltatori ai live ma purtroppo l’emergenza covid e la chiusura dei locali ha reso impossibile valutare la cosa.

Anche tu, come Mimmo, hai un’attività lavorativa che ha a che fare con la musica?
Io mi sono laureato in medicina e chirurgia e poi mi sono specializzato in odontoiatria, anche se via via scopro sempre di più che molti medici hanno come attività collaterale il suonare e comporre.. nel mio caso affianco le due passioni all’idea comune di continua ricerca, e nel caso specifico dell’odontoiatria il fatto che è una professione stupenda nella quale si deve essere contemporaneamente abili artigiani e medici.

Come vivi gli sviluppi tecnologici?
Io sono molto attratto da tutto ciò che è tecnologia, mi affascina, adoro la fantascienza per cui tutto ciò che è proiettato in avanti, invenzione eccetera mi attrae terribilmente, però ho imparato una cosa molto importante: bisogna essere sempre consapevoli di dominare tutto ciò che di tecnologico ci circonda. Tempo fa mi buttai a capofitto su programmi software di produzione sonora, è incredibile come con niente riesci a fare qualcosa di gradevole alle orecchie, usi i campioni, ti imbamboli a sentire in loop per decine di minuti ritmi e suoni e ti senti appagato, ed è vero, è innegabile che la maggior parte di quello che può uscire sia carino e piacevole, sono sistemi fatti proprio per permettere a chiunque di schiacciare con un dito qualche tasto e registrarsi qualcosa, questo succede anche con i nuovi smartphone, fai delle foto tali che un tempo richiedevano ore passate in camera oscura, provini su provini per essere infine stampate.
Tutto questo è fantastico però c’è una trappola, e io pure ci sono cascato, la fantasia lentamente si addormenta, non ci si ricorda più cosa sia la fatica, quella sana, quella che ti fa lavorare nel senso sano del termine, creativo, ecco la tua creatività lentamente si addormenta, mentre con un approccio ed un atteggiamento di scoperta, faticando, la fantasia e l’immaginazione si ipertrofizzano. Questo è quello che voglio per me, ipertrofizzare la mia fantasia, sono un pugile messo alle corde e devo trovare il modo di uscire, devo inventarmi qualcosa.
Dunque i nuovi mezzi tecnologici ci danno un sacco di opportunità in più ma a dispetto di quello che può sembrare al primo approccio vanno studiati in maniera ancora più approfondita se si vuole andare oltre il loro semplice utilizzo diciamo entry level, insomma, sono strumenti come gli altri, sono semplici strumenti e sta sempre a noi, se vogliamo, usarli in maniera virtuosa e creativa.

Sembra che poco sia cambiato dall’età della pietra!!! A quei tempi c’era una pietra con la quale si scriveva, si disegnava e, battendola, si facevano dei suoni. Oggi c’è uno smartphone con il quale si scrive, si disegna e, volendo, si producono dei suoni. La differenza la fa chi li usa e il modo in cui li usa. Giusto?
Sì, la differenza la facciamo sempre noi e sempre noi definiamo i limiti. Quando pensi di aver esaurito le potenzialità dell’utilizzo di qualcosa arriva qualcuno che ti stampa il sorriso in faccia facendoti vedere un nuovo modo di utilizzare quell’oggetto, pensa al riciclo, a come in ingegneria industriale materiali vengano riutilizzati per assolvere a nuove funzioni. Mi piace poi notare come l’arte sia nata sempre da quello che in natura ci ha circondato e l’uomo è sempre riuscito ad elevare ad arte le cose più umili e semplici in cui vive, mi viene in mente il Giappone, ma un qualsiasi altro posto va bene, in Giappone col bambù han fatto tutto e quel tutto è stato fatto sfruttando le sue qualità funzionali ed estetiche. Per seguire il discorso che ci interessa, dal punto estetico, la natura stessa del bambù ha in qualche modo influenzato lo stile e l’architettura delle loro abitazioni e dei loro oggetti, e poi parlando di musica penso a quello stupendo strumento che è lo Shakuachi, il flauto appunto di bambù, il suo suono/rumore è stupendo e le sue limitazioni ne fanno le sue caratteristiche peculiari, mi perdo ore ad ascoltare i grandi suonatori di shakuachi, quel modo di suonare mi sembra senza tempo, potrebbe essere musica fatta oggi eppure è vecchia di secoli, e rimarrà sempre attuale. A fare questi discorsi rischio sempre di perdermi in un loop senza fine, da una parte accolgo appunto la tecnologia e dall’altra penso che forse è addirittura superflua quando ancora si potrebbe fare moltissimo se costretti dalle limitazioni a concentrarci maggiormente su poche cose e soffermarsi di più a ragionare, e questo potrebbe valere per la vita di tutti i giorni, al di fuori dell’arte e della musica. L’uomo sembra che abbia bisogno della sofferenza per tirar fuori il meglio di se, tendenzialmente cadrebbe nella pigrizia e nell’inedia ma è lo stimolo dato dalla necessità di non soffrire e patire che lo spinge a migliorare, la sofferenza è necessaria.

A proposito di Shakuachi qualcuno mi raccontò che Watazumido, uno dei maggiori specialisti dello strumento, quando andava a suonare si tagliava da sé gli strumenti (però non sono mai riuscito a verificare se si tratta di una leggenda o è tutto vero) ….
Lui usava lo strumento non laccato all’interno, praticamente quello che in origine veniva intagliato direttamente dalla canna di bamboo, sicuramente gli strumenti se li faceva da sé, anche perché imparare a costruirseli è un desiderio inevitabile studiando un tale strumento, direi che fa parte del percorso, a pensarci bene e’ stupenda questa cosa e come vedi chiacchierando abbiamo fatto il giro completo e siamo tornati a bomba al DIY, al fare musica con strumenti autocostruiti eccetera.

Quando si affermò il cosiddetto genere lo-fi si contrapponevano le produzioni a bassa fedeltà con quelle ad alta fedeltà. Non è che la vera contraddizione è invece fra produzioni a basso costo e produzioni ad alto costo?
Produzioni a basso costo e alto costo, alta e bassa fedeltà… mi muovo scomodamente attraverso questi concetti, forse non ho nemmeno capito bene la domanda, comunque provo a risponderti d’istinto. Quello che uno investe nel prodotto sicuramente influenza parte del risultato, per fare un esempio semplice, se affido il mixaggio finale di un qualsiasi prodotto ad un buon fonico avrò un lavoro quantomeno godibile, ho imparato sulla mia pelle l’importanza del mixaggio, la psicoacustica, un suono che non affatica l’orecchio, godibile, e la cosa si applica a qualsiasi genere. Senti “Skylarking” degli XTC, è un disco bellissimo e famoso è il litigio di Partridge con Todd Rundgren, il primo odia quel disco ma guarda caso, e Rundgren in una sua bellissima intervista lo spiega, è uno dei loro dischi più belli e uno degli ingredienti fondamentali è stato porre attenzione alla psicoacustica, cose che Partridge non capiva e sulla quale si scontrava con il produttore, quel disco suona maledettamente bene oltre a contenere delle canzoni stupende.
Per me produzione costosa è investire su queste cose, sulla grafica, su un produttore artistico, su un bello studio di incisione… se puoi farlo in termini o di soldi o di amicizie bene, è un valore aggiunto, detto questo poi alla fine è la musica che parla, e tutta questa produzione costosa potrebbe perdere di significato. Una cosa veramente bella lo è anche (e certe volte di più) al suo livello embrionale, è già affascinante e carica di bellezza di suo, in un certo senso è già compiuta e tale rimarrà con o senza produzione costosa.

Beh, mi riferisco al fatto che una scelta DIY non credo possa avvalersi di una produzione tipo “Dark Side Of The Moon” e viceversa una produzione tipo “Dark Side Of The Moon” non sia compatibile con il DIY?
Accidenti, perché no?
La maggior parte del lavoro in “Dark Side” a mio parere è del tutto DIY, inserimento di registrazioni ambientali, taglia e incolla coi nastri, nastri in loop e via dicendo, sempre che per DIY non intendiamo un prodotto fatto al risparmio, costo zero e mancanza di soldi, in quel caso non si tratta di produzione artistica ma produzione esecutiva inesistente, e comunque a quei tempi non c’erano alternative, se volevi registrare andavi in studi dove c’era una strumentazione inevitabilmente di altissimo livello, sempre, trovavi solo quella, negli studi di registrazione dell’epoca era utilizzata una strumentazione che derivava dal broadcasting, quindi microfoni, compressori , equalizzatori etc, tutti concepiti per le stazioni radiofoniche e poi utilizzati per registrare, e gli inglesi avevano ingegneri che facevano apparecchiature superbe, i nostri nonni se volevano un abito per forza andavano dal sarto, non esisteva ancora la confezione, andavano dal sarto e si facevano fare l’abito della domenica, ed era un abito che adesso sarebbe un lusso concedersi, tutto fatto a mano, è adesso che, potendo registrare con dei baracchini in casa, puoi decidere se investire o meno dei soldi, con la mia prima band quando abbiamo deciso, negli anni ‘80, di registrare, non avevamo alternative, abbiamo messo da parte i soldi e siamo entrati in un vero studio di registrazione.
Gli stessi Pink Floyd si facevano fare gli amplificatori da un ingegnere, Charlie Watkins che poi è stato l’inventore del copycat, cercavano ampli puliti e molto potenti e Watkins provò a progettarli per loro,insomma anche in quel caso l’autocostruzione e la progettazione era funzionale alla musica e alla creazione, per me tutto questo è DIY, io se penso a loro vedo un gruppo di persone che per intenti e visioni si sono incontrate, Alan Parson i Floyd e sicuramente altri che non conosco, si sono messi a lavorare e a creare, ben altra cosa è la strategia di marketing che via via ha sempre preso più peso e importanza, grossi investimenti per pubblicizzare e distribuire un prodotto, questo si non ha niente a che vedere col DIY, ma allora stiamo parlando di altro e se oggigiorno ad un prodotto veramente valido affianchiamo una costosa strategia di marketing allora è molto più probabile arrivare dove si decide di arrivare e comunque, non per complicare il discorso, ma attualmente ci sono casi di artisti che bypassano le grosse case discografiche e di distribuzione e utilizzando in maniera efficace le nuove piattaforme social riescono ad arrivare dove prima era concesso solo se avevi alle spalle discografici e agenzie stampa.
un altro esempio di produzione DIY di livello, non alto ma addirittura stratosferico, è Prince. Molto del suo lavoro è del tutto DIY, suona, registra, masterizza, si produce artisticamente e, all’epoca del primo disco, arrivò sulla scrivania del discografico un disco totalmente suonato e registrato da lui, coi pochi mezzi di cui all’epoca disponeva, da lì in poi non ha mai smesso di fare la stessa cosa, semplicemente coi soldi che gli piovevano addosso si è comprato strumenti migliori ma l’attitudine DIY è sempre stata parte del suo stupendo lavoro.

Lo sviluppo tecnologico include anche ambiti meno governabili dal musicista, come quello del supporto da utilizzare per vendere la propria musica: nastro, vinile, compact, file digitale …. Come ti districhi nella scelta del supporto giusto?
Cerco innanzitutto di avere la mia musica sul vinile unicamente perché mi piace l’oggetto in se stesso, le copertine sono di grandi dimensioni e perché la fisicità a me piace parecchio, l’oggetto da osservare, toccare, studiare e poi i vecchi 78 giri sono arrivati a noi e mi diverte tantissimo metterli sul vecchio fonografo, ascoltare realmente un bluesman del Delta come lo avrebbero ascoltato all’epoca, trovo sia una cosa stupenda. 78 giri e fonografo con carica a manovella, e intanto mi guardo la busta con quelle belle grafiche e le pubblicità dell'epoca. Comunque tutti gli altri formati mi vanno bene e li trovo fondamentali, direi che la pubblicazione digitale è semplice da gestire e arriva ovunque , quindi ben venga, poi è difficile fare scommesse su cosa rimarrà nel tempo e cosa no, certo verrebbe da pensare che la musica ormai arriva nelle nostre case come dal rubinetto l’acqua, stessa identica cosa, quindi non mi viene in mente un modo più semplice di spotify per ascoltare qualsiasi cosa mentre se cerco cose di nicchia trovo dei siti come bandcamp che raccolgono le pagine personali degli artisti.

Ma non c’è il rischio di un approccio alla musica sempre più superficiale?
È una considerazione interessante e, se come sono convinto lo sviluppo tecnologico influenza inevitabilmente le nostre abitudini, mi vien da dire che questo concetto si potrebbe applicare a qualsiasi comparto della quotidianità. Questa considerazione apre quindi un discorso davvero complesso; facciamo subito una premessa, niente è per sempre e qualsiasi condizione che duri ore o mesi o decenni è destinata a mutare, detto questo mi vien da dire che mai come oggi la quotidianità è regolata dal superficiale, quasi tutti si fermano ai titoli dei giornali o alle prime due righe delle notizie in rete e fanno propria una frase adattandola a quello che gli fa comodo sentire senza approfondire, sui social possono permettersi di far credere agli altri di possedere una cultura vastissima su un dato argomento di discussione semplicemente facendo una brevissima ricerca e sparando due nomi, e lo stesso per la musica, tutto disponibile e posso dare un ascolto immediato senza fare fatica, ma allora dove sta il problema se non unicamente nel fatto che la curiosità è quasi sempre stimolata dalla necessità, ho sempre più la certezza che l’essere umano sia governato da istinti animali, quindi tende a fermarsi, a immobilizzarsi, a diventare uno zombie se ha tutto disponibile. La fruizione passiva è molto comoda, l’hanno sperimentata i nostri nonni coi primi televisori e oggi è ulteriormente amplificata dallo sviluppo tecnologico che hanno avuto i mezzi di comunicazione, i futuri nonni la televisione oggi se la portano in tasca ovunque, quindi sì, il rischio dell’approccio alla musica, alla cultura, all’arte, al sesso, a tutto rischia di divenire superficiale. Per essere ironici, pensa a quanto un’intera generazione aspettava il nuovo numero di postalmarket solo per visionare la pagina della lingerie, ora è tutto lì a portata di clik ma sembra non essere più così erotico, la differenza forse è che se dai la sensazione di dire e offrire tutto viene meno il desiderio della scoperta, della conquista, del viaggio, sia reale o figurato. Dato che avevamo poche notizie io le liner notes dei dischi le adoravo, cercavo di scoprire il lato nascosto delle band che adoravo, guardavo i vestiti, dove abitavano, i ringraziamenti, che strumenti usavano se possibile saperlo, solo per cercare di ricreare il quadro, capire il contesto, era forse solo curiosità ma la curiosità è importante in ogni campo ed è all’origine di qualsiasi solida formazione culturale.

La pandemia ha dato un’accelerazione a cambiamenti che erano già in corso, per quanto riguarda i concerti pensi che potremo tornare alla situazione pre-covid o dovremo abituarci a goderceli in streaming?
Si potrà tornare sicuramente ai concerti dal vivo ma ci sono ancora troppe variabili di cui non si conosce a fondo il comportamento che rendono impossibile fare una previsione in termini di tempistiche, da medico ti rispondo che si naviga a vista.

“The Million Year Girl” con i Lovexpress, se non m’è sfuggito qualcosa, è l’ultimo disco che hai pubblicato … essendo uscito in piena bufera, o quasi, volevo chiederti se la situazione contingente, soprattutto l’assenza di un forte fattore promozionale quali sono i concerti, ha influito sulle vendite?
Abbiamo deciso di pubblicare il disco fregandocene dell’emergenza e dello stop ai concerti, io ho spinto in questa direzione, al livello così underground a cui sono/siamo certe strategie di marketing credo davvero contino poco e poi mi da una noia tremenda dover dipendere dagli altri, voglio fare le cose quando sento che è il momento, se aspettavamo a far uscire il disco con la ripresa dei live eravamo, a distanza di un anno, ancora qui ad aspettare e poi davvero, chi se ne frega, seguiamo i nostri desideri, eravamo così soddisfatti di come era nato il disco che non vedevamo l’ora di lasciarlo camminare con le sue gambe. Band come la nostra hanno bisogno dei live, lì si vendono i dischi e ci si fa conoscere e i pochi live che abbiamo fatto sono piaciuti tantissimo per cui non poter suonare ci penalizza tantissimo e toglie chiaramente una buona occasione. Tieni comunque presente che si parla sempre di numeri ridicoli anche se si fanno concerti, però ho anche riscontrato che se un disco è valido si stacca da me e continua per la sua strada, con o senza i live; ogni tanto mi chiedono online il primo disco, “Cacophonorgy”, per il quale non era stata fatta quasi nessuna recensione, mi piace pensare che se ho fatto le cose con sincerità e per bene la mia roba prima o poi arriva a chi di dovere.

Progetti e sogni per il futuro?
Al momento mi sto dedicando a due lavori, alle composizioni per cacophonator che entreranno nel prossimo album e ad una cosa che mi sta molto a cuore: sono composizioni che ho scritto per pianoforte solo, sto facendo le ultimissime correzioni sulle partiture e sto discutendo dettagli e altro con chi registrerà i brani, non chiedermi di chi si tratta che è top secret… scherzo, in realtà l’impossibilità di potersi incontrare e il fatto che risieda molto lontano da me rende tutto più difficile e quindi voglio esser sicuro che si arrivi assieme fino alla fine, per scaramanzia quindi non dico niente.
Il mio sogno? Vorrei tantissimo dedicarmi alle musiche per un bel film o una serie, oggigiorno ci sono alcune serie bellissime, sarei felicissimo di veder associata la mia musica a qualcosa di importante in ambito cinematografico.

Hai mai usato la tua musica come sottofondo per i tuoi pazienti?
Ah ah no, mai fatto, ma qualcuno curioso che viene a sapere della mia seconda pelle mi chiede di ascoltare qualcosa e allora diffondo, ma a lavoro finito :).
Poi magari succede che un paziente del quale non conoscevo i gusti musicali, mentre lui era ignaro della mia attività, mi telefona tutto entusiasta e dice di aver letto, su una rivista a cui è abbonato, la recensione di un disco di Collivasone chiedendomi se sono veramente io. Ah ah, è stato divertentissimo, quando capita in studio passiamo più tempo a parlare di musica che a curare i suoi denti.

Mettiamo allora che uno dei tuoi pazienti ti dice di essere a digiuno e ti chiede come può orientarsi per iniziare ad ascoltare musica, cosa gli consiglieresti?
Non ritengo di avere una così vasta e gran cultura musicale, non saprei, forse gli direi di fare come faccio io, la musica arriva da ogni parte, per strada, alla televisione, al cinema, dai libri, dall’arte, etc., io mi lascio suggestionare, ho le antenne sempre attente e se qualcosa mi colpisce allora vado alla ricerca e cerco di scoprire di cosa si tratta. Mi piace questo modo di arrivare alla musica, è un po’ come aggirarsi per una giungla e inseguire i suoni che ti incuriosiscono, scoprire chi o cosa li genera, mi ricordo che Ligeti lo scoprii molti anni fa in questo modo, stavo facendo altre cose in casa coi miei genitori e probabilmente alla televisione usavano come sottofondo di un qualche documentario quella che scoprii poi essere la composizione intitolata Lontano, mi colpi molto, tantissimo… beh, ci misi un sacco di tempo per risalire al compositore e da lì avventurarmi nella musica contemporanea. Provo davvero gusto ad applicare questo metodo di accrescimento e conoscenza in tutti i generi musicali e nell’arte in generale, lascio che le cose accadano e di solito accadono quando è il momento giusto, probabilmente è la tua testa che è pronta per coglierle.

E nell’ambito delle tue conoscenze quali sono gli artisti, i dischi, o più semplicemente i brani o le canzoni che più ti hanno coinvolto … in poche parole se fossi costretto a cedere tutti i dischi che hai con la possibilità di tenerne qualcuno, quali sono che proprio questi no, non me li prendete, questi me li tengo stretti?
I dischi e autori/band sui quali ritorno immancabilmente e dai quali non mi separerei sono sicuramente The Cramps, Prince, Gioacchino Rossini, i primissimi Simple Minds e i Genesis fino a “The Lamb..", ecco questi nomi sono quelli ai quali devo tantissimo e ai quali sono più affezionato.


Sito web di Luca Collivasone: www.lucacollivasone.it


discografia:

1983
• Aus Decline: Five Years Life - Mask Production (nella compilation “First Relation”, LP)

2005
• Aus decline: “Retrospettiva” - autoproduzione (CD)

2006
• Stiletto: “The Wrong Music for the right People” – autoproduzione (CD)

2007
• Masked Marvels: “Ol' Farts, Young Tarts” - Billy's Bones Records (CD)

2010
• Maciste: “Maciste” - Devils Ruin Records (CD)

2014
• Cranio: “Cranio” - Furry Heart Records (LP)
• Doc. Looksharp: “A Song Needs More Than One Killing” - Furry Heart Records (EP)

2015
• L.L.Looksharp: “Houseworks” – Furry Heart Records (EP)

2016
• Doc. Looksharp: “Cacophonorgy” - Furry Heart Records (LP)

2017
• Lovexpress: “Stars” - Furry Heart Records (LP)
• Doc. Looksharp: “Tongues Pong” - Furry Heart Records (EP)

2018
• L#Collivasone: “Vostra Signora del Rumore Rosa” - Furry Heart Records (LP)

2019
• Luca Collivasone: “Cinematic Cut Scenes and Episodes in Music”- Furry Heart Records (DL)

2020
• Lovexpress: “The Million Year Girl” - Furry Heart Records (LP)
• Luca Collivasone & Gianni Mimmo: “Rumpus Room” - Amirani Rec. (LP, CD)



ANGOLI MUSICALI 2016  

tempi moderni (IIª tranche)  

luca collivasone (intervista)  

John Russell (1954- 2021) nei miei ricordi  

La New Wave of Jazz  

figli di un dio minore: the woodentops  

marino josè malagnino (intervista)  

vonneumann  

figli di un dio minore: ut  

figli di un dio minore: judy dyble  

tre giorni con maria monti  

gianni mimmo  

claudio parodi (intervista)  

i gufi  

figli di un dio minore: hugo largo  

figli di un dio minore: san agustin  

figli di un dio minore: Ã’ë÷åü (hikashu)  

Bourbonese Qualk (intervista a Simon Crab)  

Andrea Belfi & Stefano Pilia (intervista)  

corvo records  

infrantumi: vent`anni dopo  

Rock Over Beethoven - Il Rock Neoclassico  

lili refrain  

vittore baroni  

christoph gallio  

jacopo andreini  

musica moderna  

ladies of the canyon  

tempi moderni  

giacomo salis / paolo sanna percussion duo (intervista)  

hyaena reading (intervista con francesco petetta)  

Baxamaxam  

Xabier Iriondo  

Osvaldo Coluccino  

Osvaldo Arioldi Schwartz (Officine Schwartz)  

Zero Centigrade  

i cantautori  

(la famosa etichetta) Trovarobato  

die schachtel: della maggiore età  

4 donne  

violoncello  

Chaos Tape(S)  

compilation  

D.S. al Coda (the record label)  

Osaka Kyoto Sounds
(con intervista a Go Tsushima dei Psychedelic Desert)
 

(etre) / Wondrous Horse / Harps Of Fuchsia Kalmia  

tamia  

drum, bass... and carmel  

L`Enfance Rouge (articolo e intervista a François R. Cambuzat)  

chinoise (con intervista a Yan Jun)  

figli di un dio minore: ghigo  

figli di un dio minore: fifty foot hose  

figli di un dio minore: ich schwitze nie  

figli di un dio minore: rites of spring / happy go licky  

figli di un dio minore: crust  

figli di un dio minore: antelope  

figli di un dio minore: kletka red  

figli di un dio minore: the blocking shoes  

figli di un dio minore: debora iyall / romeo void  

figli di un dio minore: stretchheads  

figli di un dio minore: bobby jameson  

figli di un dio minore: distorted pony  

figli di un dio minore: dark side of the moon  

figli di un dio minore: los saicos  

figli di un dio minore: the centimeters  

figli di un dio minore: chetro & co.  

figli di un dio minore: songs in the key of z  

figli di un dio minore: mondii  

figli di un dio minore: TCH (this crepuscular hour)  

figli di un dio minore: bridget st. john  

figli di un dio minore: thule