Quanti colori può avere la poesia in musica?
Difficile dirlo, anche perchè unire queste due forme artistiche non è semplice e spesso si abusa parlando di dischi e di musicisti di questa unione, ma nel caso dell`ultimo lavoro dei Morose è indispensabile parlare di poesia in musica. Una poesia dalle tonalità di grigio, dai colori foschi e dai toni malinconici, ma arricchita nelle canzoni da una venatura epica e da scelte melodiche altissime, capaci di scendere negli abissi della disperazione quanto di salire ad ariosi mantra come quello che chiude la prima traccia Elena dalle candide braccia, momenti di maggior respiro che mantengono però il tono sepolcrale dal retrogusto antico che caratterizza l`intero disco.
“La vedova di un uomo vivo” segna un punto di svolta per il gruppo spezino, non solo per quanto riguarda le liriche per la prima volta in italiano. Questo disco infatti riesce a dare una forma unitaria a quanto i Morose avevano già detto con i loro lavori precedenti, anche grazie alla scelta di comporre un concept album. Le costruzioni musicali si abbracciano con delicatezza ed eleganza, riuscendo così a non cadere mai in secondo piano rispetto alle parole delle canzoni, e nonostante l`assenza di una sezione ritmica riescono a scorrere con una notevole dinamicità e versatilità tra i brani del disco sfruttando l`uso di più strumenti che ben combaciano con le strutture folk di chitarre e pianoforte arrivando così a una entusiasmante forma orchestrale.
I Morose riescono quindi con “La vedova di un uomo vivo” a comporre un disco dai toni foschi e cupi senza mai tediare l`ascoltatore grazie a testi splendidi e a atmosfere sonore mai banali, un`opera completa e precisa il cui ascolto è meraviglia.
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