Di Jack Wright, venerando sassofonista, abbiamo già scritto, e a quanto s`è già detto rimando difilato il lettore. Il nome di Alban Bailly dovrebbe essere invece una novità per le nostre pagine. Nato in Francia, e da qualche anno stabilitosi a Filadelfia, è partito dal rock per passare poi al jazz e all`improvvisazione radicale, non senza aver studiato nel frattempo musica araba, balcanica e gitana.
C`è poco da scrivere di questo disco e, viceversa, c`è molto da ascoltare. Esattamente tre quarti d`ora di pura improvvisazione senza che vi sia un, anche pur minimo, cedimento o concessione ai clichè del genere. L`accoppiata si impegna fin troppo e non per favorire i singoli interessi dell'uno o dell'altro, al contrario dei nostri governanti, e così porta a buon fine un`opera corale e perfettamente riuscita. Si tratta, naturalmente, di un'elargizione ostica e urticante, anche a causa dell`atteggiamento minimale (ma non minimalista) che contraddistingue il moto dei due; “The Harmony Of Contradictions” necessita quindi di più e più ascolti, ma alfine ti entra sotto pelle e scava una propria nicchia nella sfera personale dei desideri.
Eppure non sono riuscito a comprendere neppure il nesso, che pure deve esistere, fra la musica e titoli dei singoli brani imperniati su alcuni opposti, che finiscono con l`essere dei paradossi, messi in sequenza secondo un evidente moto oscillatorio. Ma forse la soluzione sta nella definizione dello stesso album o nel nome del marchio che lo distribuisce: `l`armonia delle contraddizioni` e `astratto su nero`.
Era dal tempo dei dischi di Anthony Braxton e Derek Bailey su Emanem (1974) che non ascoltavo dei duetti di chitarra e sax così cerebrali ma allo stesso tempo così interessanti e coinvolgenti.
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