I Gala Drop si materializzano da noi quest`anno come una mazzata a ciel sereno mentre la Lisbona dei loft è quasi un lustro che li vede sgambettare tra serate clubbistiche e festival d`avantgarde. La loro musica è una miscela evergreen di tropicalismo urbano con evidenze kosmische/dub e latenze afro/caraibiche, una bizzarra sinestesia tra i Can e i Cluster, quelli magari krautpop-side di “Zuckerzeit”, e l`evoluzione più avveniristica del dub e della black music: gli altri mondi (possibili) di Scientist/King Tubby per la prima ora del Kingston-bass, la weltanschauung metropolitana di Shackleton e Skull Disco per il presente. Ma coesiste un'altra, e più lontana, decifrazione del mood GD: Nelson Gomes (keyboard, percussion, synth, vox), Tiago Miranda (loops, guitar, synth, già militante nei freakers Loosers) e Alfonso Simões, drumming pard infiltratosi nel tempo, scrivono un piccolo manifesto antropologico, andando a ricordare il legame certo, e incredibilmente potente, tra le suburbie di Lisbona e i colori dell`Africa avvenuto dopo il crollo della dittatura. La Revolução dos Cravos del `74, portando con sè la democrazia, favorì pure un considerevole flusso migratorio di popoli provenienti da Angola, Mozambico, Capo Verde. La miccia accesa, il confronto fatale. Lo stesso Gomes parla di un `crash` importantissimo nel proprio affinamento sonoro, essendo cresciuto in un quartiere-equatore ubicato tra due comunità d`oriundi («All this to say that African music is in my soul»).
Il primo slancio, Ital, è una corrente alternata (bassa) di ritmi lignei, bassi rotondi, fluorescenze funky, se vogliamo, un orientamento ancora piuttosto tenero rispetto al decisionismo power-yoga di Ubongo, dove sonorità serpeggianti, prox a un sitar indiano, si radunano attorno a un falò di percussioni tribali. Protagonismi psichedelici per organo in salamoia space/dub, Lee Perry che produce sotto l`effetto allucinatorio della moon music (Ash`ra Temple) nella gravitazionale Dabum. La rigidità del kraut è in prima pagina con Frog Scene via oscillazioni sinusoidali vintage, epico ed ellittico sunto per tastiere stellari e ritmica ostacolante postrock. Non solo, i GD hanno in sè una verve arcana che vuol condurre nella NYC 80 del postfunk di 23 Skidoo e Liquid-Liquid (si veda la plasticità wave di Parson, o il frame ritmico rimesso tout cour alle pelli di Simões in risposta al gorgoglio di samples e ambient di Crystals).
Dal vivo sono ancora più selvatici e scollegati dalla realtà , e riescono persino a mandare in malora il loro pathos ritmico così metronomico, avvicinandosi per sommi capi a quello che un tempo erano gli Animal Collective prima di andare a puttane.
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