Ci sono giorni in cui non si ha nessuna voglia di essere adulti, o semplicemente si è stufi di esserlo. Ci si vergogna un po`, anzi parecchio, anche perchè da tutt`intorno si scorgono sguardi nel migliore dei casi preoccupati, nel peggiore invece di puro sprezzo di questa adolescenzialità inutilmente reclamata. Giorni come questi richiedono una colonna sonora ad hoc, spesso andata a recuperare tra imberbi ascolti new wave (per chi c`è passato), tra cassettine con copertine fatte a mano, ormai nascoste in una grossa scatola rossa mezza sfondata, coperta di polvere e custodita dentro un armadio.
Volendo, c`è anche qualcosa di più moderno, ma pur sempre adatto a veicolare quella sensazione di “inettitudine alla vita”, come la chiamava Pirandello, che spesso ci si sente addosso. Rispondono bene a questo appello da cuori morbidi anche gruppi più o meno biecamente mainstream come Interpol, Editors e Franz Ferdinand, ma una coscienza musicalmente adulta spesso preferisce tenervisi a distanza e cercare qualcosa che continua almeno in parte ad annidarsi in un sottobosco che definire ormai underground fa quasi ridere.
Ecco allora da New York questi Fatà les, perfetti per momenti come questi, con la voce di Wayne Switzer, pulitissima, dai toni patetici e strappalacrime, i tocchi di tastiera che rimandano ai mai dimenticati Breathless, ed un violoncello a dare l`ultimo tocco di straripante malinconia. La sessione ritmica, spesso fissa sui tamburi, in pieno stile wave (alla Bauhaus diciamo) riesce comunque a mantenere viva anche una certa vivacità , che unita ai delay delle chitarre ha fatto la fortuna dei Cure dei bei tempi che furono.
C`è spazio perfino per degli accenni ambientali in odore di Dead Can Dance (Violette) e ballate in cui la melassa si fa forse eccessiva (Torches), ma nel complesso il disco si mantiene su buoni livelli, soprattutto nella prima parte dove svetta soprattutto la potente apertura di Evergreeen.
Se quindi avete voglia di sentirvi di nuovo teen ager, di compiacervi della vostra tristezza, se vi sentite incompresi dal mondo, “Great Surround” è vostro.
Io intanto spero di riuscire a smettere di ascoltarlo, tornare adulto ed ascoltare di nuovo i primi dischi degli Swans.
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