Pensate di mettere insieme un gruppo di persone, di registrarle mentre parlano e infine di cancellare tutte le parti dialogate per lasciare i respiri, gli oh!, gli ah! e le altre espressioni simili.
Adesso traslate, pensate agli strumenti musicali come fossero persone, pensate di raggrupparne alcuni (tastiere acustiche, elettriche e elettroniche), di registrarli mentre dialogano, e infine di cancellare i dialoghi lasciando i loro respiri e le loro esclamazioni. Respiri che possono essere sospiri, certo, ma anche rivelazioni di affanno o squilibrio.
Ecco, avrete così ottenuto “Offshore Zone”, un disco fatto con l`alito degli strumenti.
Protagoniste tre tastieriste, compositrici, improvvisatrici e manipolatrici elettroniche della limitrofa Austria.
Il tutto può essere inserito in un concetto di improvvisazione elettroacustica non idiomatica, all`insegna della destrutturazione, con evidenti riferimenti all`opera di John Cage, Bernhard Günter o Radu Malfatti.
Questo non vuol dire che “Offshore Zone” non ha delle sue peculiarità . Tutt`altro. Innanzi tutto il fatto di venire giocato tutto su strumenti a tastiera, o simili, crea quell`ampio ventaglio di timbriche, tonalità e risonanze che solo con questo tipo di strumentazioni è possibile ottenere (voglio citare l`armamentario utilizzato: parte interna del pianoforte, dulcimer percosso con martelletti, pianoforte giocattolo, pianoforte, clavicordo, zither e synth, oltre a non meglio specificate elettroniche). In secondo luogo a influire nel risultato v`è sicuramente lo spirito femmineo del progetto, spirito che incombe contrassegnando l`insieme di una sua (pur ferrea) grazia.
Da notare la tonalità in blu che domina l`intero lavoro: dal titolo del disco (zona in mare aperto) al nome del progetto (pesce d`altura), passando per il colore del vinile e della copertina (disegnata da Heimo Wallner e ispirata dall`artista americana Christy Gast).
Tutto molto bello.
|