Il suono dei tamburi è andato ad aumentare d'importanza e a liberarsi dal suo ruolo di accompagnamento ritmico e, di conseguenza, molti batteristi e/o percussionisti si sono ritagliati uno spazio che è andato ampliandosi con lo scorrere del tempo, con il cambiamento dei gusti da parte del pubblico e con l'acquisizione di nuove tecniche, idee e strumentazioni.
Personalmente mi sono avvicinato alla musica per soli strumenti a percussione attraverso gli a solo di Ginger Baker e Don Brewer (nei dischi dal vivo di Cream e Grand Funk Railroad) per poi iniziare ad approfondire la conoscenza attraverso le musiche africane per soli tamburi e/o attraverso i dischi per sole percussioni di musicisti della new thing come Milford Graves e Andrew Cyrille.
L'affermazione dei tamburi si è comunque consolidata seguendo più d'una strada. Sicuramente una delle più importanti è l'affrancamento dei batteristi jazz, in special modo di quelli legati alla new thing, dal ruolo di accompagnamento ritmico. A fianco a ciò, e solo in parte come cosequenza di ciò, c'è stata l'affermazione delle musiche di derivazione afro nel gusto comune, affermazione avvenuta a scapito delle musiche di derivazione classico-occidentale e/o dell'opera lirica (pensate al successo ottenuto da musiche come il rock, il reggae, l'hip-hop o, ancor più, la drum 'n' bass che porta nel suo stesso nome il marchio di caino). Non ultimo, direi, c'è il fatto che numerosi compositori contemporanei, in particolare gi americani ma non solo, si sono interessati in maniera sempre più consistente a questo tipo di strumenti e alle tradizioni musicali extra-europee. Di conseguenza si è iniziato ad utilizzare in modo sempre più percussivo anche vari strumenti appartenenti alla tradizione classico-romantica.
L'autentico botto è avvenuto però con l'esplosione elettronica, non tanto come metodo per produrre suoni digitali quanto come sistema per trattare e/organizzare i suoni acustici e i suoni elettrici.
In tempi recenti il lavoro in solitudine di apprezzati batteristi ha prodotto opere di altissimo livello quali "Natura Morta" di Andrea Belfi, del quale ci siamo già occupati, o questi "Malo" e "Sacrée Obsession" che mi accingo a recensire.
Frank Rosaly, di Chicago, seppur bianco sembra raccogliere il testimone di quella tradizione nera attenta al ritmo e alle poliritmie. ¡AK!, 10Hz e Te Cuidas Mucho, Miguel sembrano infatti raccontare di quelle stesse selve già descritte da un Milford Graves, restando sempre in perfetto equilibrio fra suoni lignei e metallici. Altrettanto rigoglioso, ma meno colorito e attraversato da suoni più distorti, appare invece il brano introduttivo. E` però Malo a deviare in direzione di un davisiano Tony Williams, con un tamburellare basso, sordo e inquietante che poi, nella seconda parte, finisce per saturare in una scia di feedback e risonanze.
E` proprio da questo punto che sembra invece muoversi l'australiano Will Guthrie, attraverso due lunghi brani nei quali le atmosfere meditative alla Radigue vengono preferite all'esplorazione dei ritmi. Timelapse, nel lato A, è composta essenzialmente di suoni brevi, tintinii metallici e/o suoni grevi (Guthrie utiizza anche una grancassa da orchestra), utilizzati in modo molto rarefatto. Le risonanze vanno comunque ad aqcuistare importanza con lo scorrere del tempo per arrivare a sovrapporsi e a prevalere nella parte finale del brano. Pacemaker, sul lato B, segue un movimento inverso e all'iniziale nebbia di risonanze va a sovrapporsi, fino a prendere il sopravvento, il martellamento sui tamburi; ma il ritmo è dato anche qui da un gioco di tensione che continuamente sale e si allenta. Dovendo dare un riferimento storico anche per Guthrie, farei il nome di Sunny Murray.
Due dischi, un dovere!
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