Ci sono dischi che mi mettono in profonda difficoltà in fase di recensione, specialmente quelli verso i quali si riversano grandi aspettative: si sa, è sempre un errore costruirsi delle idee sulla base di pochi dati, oppure forse qui l`errore è stato nell`avere perfino troppe informazioni di contorno al disco. Si sta facendo un forte battage pubblicitario attorno a questa misteriosa “Stagione del cannibale”, titolo oscuro che rinvia alla storia di due altrettanto oscuri amanti di cui nelle note della press sheet e del sito troviamo indizi (copio qui uno stralcio della press sheet a nome di uno dei componenti della band stessa):
«Tutti insieme [gli Amor Fou], a una noiosissima festa del noiosissimo Salone del Mobile, abbiamo conosciuto Adele H. e Paolo M.
Lei romana, figlia di una freak e di un pariolino, lui fuoriuscito dalla Milano bene degli anni sessanta. Un tempo innamorati come pazzi, finirono per lasciarsi senza motivo, giovanissimi, il giorno della bomba di piazza Fontana.
Negli anni novanta si sono rivisti, senza amarsi e senza odiarsi.
A una festa, per puro caso, ci hanno raccontato parte della loro storia e ne abbiamo tratto il nostro primo disco.»
Sebbene personalmente io adori i concept album, ed ami anche le storie raccontate con garbo, sinceramente mi è stato molto difficile appassionarmi a questa vicenda (fermo restando il fatto che potrebbe essere un limite mio) anche ascoltando il disco, dalla cui musica, appunto, mi aspettavo forse troppo. Gli artisti che la generano affondano le loro radici in Giardini di Mirò/Noorda (Raina), La Crus/The Dining Rooms (Malfatti), Lagash (Saporiti) o hanno collaborato con artisti di eccelsa fama quali Bjork o Howie B (Rescigno).
Sono quindi rimasto un poco deluso da un disco che ha sì buone sonorità e melodie accattivanti, ma non più di quelle che ne possono avere i Tiromancino degli ultimi tempi; di certo non mi sono venuti in mente i Notwist o i Radiohead (citati nella press sheet).
Rispetto moltissimo i quattro musicisti di questo progetto, ma obiettivamente credo che una goccia di umiltà in più li avrebbe portati più lontano, magari senza scomodare `una scrittura che omaggia Battisti`, dove i testi - al di là di qualche pregevole accenno ironico (vd. Due cuori, una dark room) oppure di slogan ben riusciti (`tenetela per voi la società che non si muove`, da Se un ragazzino appicca il fuoco) - raramente colpiscono al cuore, tanto è vero che l`unico brano davvero grandioso del disco è la strumentale La strage, potente cavalcata post-rock degna dei momenti migliori dei compagni di etichetta Piano Magic.
Forse i quattro potrebbero giocare meno sul piano delle numerose citazioni (e spesso anche belle, è da ammettere) e concentrarsi più sulla propria specifica musica, poichè di certo non mancano loro delle grandi potenzialità anche a livello commerciale.
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